Piazza Affari ha registrato la performance migliore dalla crisi del Covid, riuscendo a sovraperformare le grandi borse del mondo. Se oltre ai prezzi si considerano anche i dividendi versati dalle società che costituiscono il listino milanese, la finanza del nostro Paese può ritenersi più che soddisfatta. Vediamo le ragioni di questo importante traguardo con Alessandro Bergonzi, Financial Markets Content Specialist di Investing.com.
Piazza Affari, nonostante le dimensioni ridotte rispetto ad altre Borse mondiali, ha registrato un nuovo record, triplicando il proprio valore in quasi cinque anni. Quali sono le ragioni di questo boom?
«Effettivamente, aggiungendo i dividendi pagati dalle società del Ftse Mib negli ultimi 5 anni il listino milanese ha garantito un rendimento total return di oltre il 200%, più degli altri principali indici europei ma anche superiore a S&P 500 e Nasdaq. Il successo è dovuto principalmente a due fattori: l’elevato rendimento da dividendi delle società italiane, appunto, a cui si unisce l’eccezionale performance del settore bancario. Per citare qualche outperformer, negli ultimi 5 anni Banco BPM ha visto le proprie azioni aumentare del 410%, Banca Popolare di Sondrio del 400%, mentre UniCredit ha segnato un +342% e Intesa Sanpaolo, la più grande banca italiana, un solido +150%».
Che ruolo stanno giocando le banche, alla luce di un contesto di mercato in cui si stanno susseguendo diverse offerte pubbliche di scambio e di acquisto?
«Il contesto di tassi di interesse più elevati ha rafforzato la redditività delle banche, che hanno registrato margini da interessi e utili record, riuscendo così a distribuire dividendi generosi. Ad esempio, Intesa Sanpaolo vanta un rendimento da dividendo del 7,6%, UniCredit del 5%, e Banco Bpm arriva all’11,1%. Dopo aver fatto cassa, una volta che la Banca centrale europea ha iniziato a mollare la stretta sui tassi d’interesse, la solidità patrimoniale acquisita ha permesso a questi istituti di sostenere o perlomeno avventurarsi in operazioni di fusione e acquisizione, il cosiddetto risiko bancario che sta rendendo anche in questi giorni i titoli bancari protagonisti indiscussi delle dinamiche del mercato italiano».
Quali sono quelle che stanno performando di più?
«Se si va a guardare la classifica delle performance degli ultimi tre anni, salta subito all’occhio che le banche non sono state le uniche protagoniste di questo boom di Borsa. La prima per crescita di valore azionario è infatti Leonardo, che ha segnato un +450% in 3 anni grazie all’aumento dei ricavi, sostenuti dall’incremento della domanda nel settore della Difesa, tra guerre in Ucraina e Medio Oriente, e politiche del presidente Usa, Donald Trump, che stanno spingendo l’Unione Europea a investire di più nella Difesa. Poi, per i motivi già citati, c’è ovviamente tutta una sfilza di Banche: Unicredit (+240%), Bper Banca (+235%); Unipol (+185%), Banco Bpm (+160%) e Banca Popolare di Sondrio (+150%). Ma non mancano aziende di altri settori che hanno più che raddoppiato il prezzo in 3 anni: Ferrari (+152%), Prysmian (+150%) e Brunello Cucinelli (+148%)».
Qual è il peso del settore energetico, altro pilastro del listino? Le previsioni?
«Il settore energetico continua a giocare un ruolo cruciale a Piazza Affari. Enel ed Eni, con una capitalizzazione combinata superiore a 112 miliardi di euro, rimangono asset strategici nel panorama italiano. I punti di forza di questi titoli sono diversi. Sicuramente anche in questo caso l’elevato rendimento da dividendi (Enel 6,8%, Eni 6,3%) e i solidi margini operativi. A differenza del settore bancario (dove qualcosa sta comunque iniziando a muoversi, soprattutto con l’ambizione di Unicredit di imporsi sul piano europeo), i colossi energetici italiani hanno una forte presenza internazionale. E in più, rispetto alle concorrenti quotate su altri mercati, vengono scambiate a valutazioni attraenti con un rapporto prezzo utili inferiore rispetto ai competitor stranieri (Enel 13,1x, Eni 9,7x). E per quanto riguarda il futuro, le previsioni degli analisti sono positive. Per la maggior parte dei broker che coprono i due titoli sia Enel che Eni sono azioni da comprare. In base alla media dei target price, gli analisti si aspettano una crescita costante, con Enel che potrebbe registrare un rialzo di circa il 17% e Eni del 15% nei prossimi 12 mesi. In particolare, le società si giocheranno il successo sulla transizione energetica e sugli investimenti nelle rinnovabili, imprescindibili motori di crescita per il futuro, mentre gli alti dividendi sono interessanti soprattutto per gli investitori di lungo periodo».
Ci sono altri titoli/settori da tenere sott’occhio?
«Da sempre marchio di fabbrica italiano il lusso aspetta ancora una ripresa della domanda cinese. Oltre a Brunello Cucinelli, già citato, anche Moncler ha visto il proprio valore crescere del 90% in cinque anni. Tra i titoli più sottovalutati del Ftse Mib, nelle telecomunicazioni spicca Tim, che ha un potenziale rialzo del 24% stando al Fair Value calcolato da InvestingPro, ma deve comunque dimostrare di aver cambiato definitivamente rotta sul piano del debito. Quello che invece manca fortemente alla nostra economia è il settore tecnologico, chissà che nei prossimi anni non possa arrivare qualche piacevole sorpresa».
La Borsa di Londra ha assistito recentemente ad una importante fuga delle società quotate. C’è anche lo stesso pericolo per Piazza Affari?
«Il delisting è un fenomeno diffuso anche a Piazza Affari, dovuto ai costi eccessivi e alla troppa burocrazia. Tuttavia, dopo la Brexit abbiamo sicuramente guadagnato attrattività rispetto a Londra. Anche l’attuale stabilità politica sta giocando in favore del nostro Paese. Inoltre, le valutazioni restano attraenti, con multipli prezzo/utili più bassi rispetto ad altre piazze europee e rendimenti da dividendo più generosi».
Per il futuro cosa prevedete? Questo boom continuerà?
«Il consolidamento bancario, l’afflusso di investimenti esteri e il potente surplus commerciale italiano (54,9 miliardi di euro nel 2024) sono elementi che mantengono gli investitori fiduciosi. La buona reputazione di cui gode attualmente il nostro Paese è anche testimoniata dal recente successo del Btp a 15 anni, con una raccolta di 13 miliardi di euro e una domanda record di 133 miliardi, che dimostra come gli investitori istituzionali considerino l’Italia come una destinazione sicura per il capitale. Tuttavia, le sfide non mancano. Sia a livello italiano, con le difficoltà dell’industria, che sul piano internazionale».
Quali sono i dati macro e geopolitici da monitorare?
«Le attuali sfide a livello globale sono molteplici e complesse: penso ai dazi commerciali USA su acciaio e alluminio, le prossime manovre di una Bce passata dal frenare l’inflazione al dover risollevare la crescita economica, per non parlare della situazione in Ucraina, ma anche la crisi dell’industria tedesca e quella del settore automobilistico.
Sono tutte incognite, conclude Bergonzi, in grado di condizionare pesantemente il futuro economico e finanziario del nostro Paese.