Gli Stati Uniti sono il primo paese per riserve auree con 8133 tonnellate di oro detenute pari ad un valore di circa 755 miliardi di dollari.
A differenza di altri paesi dove le riserve auree sono detenute dalla banca centrale, negli Stati Uniti le riserve auree sono detenute direttamente dal governo americano che lascia alla FED la gestione contabile delle stesse.
La FED contabilizza all’attivo di bilancio i certificati di deposito aurei e al passivo accredita il governo USA per il controvalore in dollari delle riserve auree calcolate al prezzo storico di $42.22 all’oncia.
Le riserve auree di ciascun paese sono state valutate al prezzo spot dell’oro rilevato il 24 Febbraio 2025 pari a $95.26 al grammo e corrispondente a $2700.62 per oncia [oncia avoirdupois 28.35 grammi] Le quantità di oro nelle riserve auree detenute da ogni ogni paese è stata rilevata nel Dicembre 2024.
L’Italia è il terzo paese al mondo per riserve auree con 2452 tonnellate per un valore pari a oltre 233 miliardi di dollari.
Il grande caveau del Kentucky
Gli Stati Uniti hanno la riserva aurea più grande del mondo. Fort Knox, in Kentucky, custodisce 147,3 milioni di once troy d’oro (circa 4.582 tonnellate), pari a circa il 59% delle riserve totali del Tesoro americano, secondo quanto riporta la Zecca degli Stati Uniti.
Dopo di loro ci sono la Germania e, a sorpresa, l’Italia. Infatti, al 2023 il nostro Paese ha accumulato circa 2.542 tonnellate d’oro, secondo i dati ufficiali.
La maggior parte è custodita nel caveau di via Nazionale a Roma, ma sono in parte anche in sicurezza nei forzieri americani (Fort Knox ospita parte delle riserve di altri paesi), svizzeri, britannici e tedeschi.
Nel 2019, il Senato italiano aveva approvato una mozione che chiedeva di “definire l’assetto della proprietà delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia” e di “acquisire le notizie” su quelle detenute all’estero, oltre che sulle “modalità per l’eventuale loro rimpatrio“.
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Tuttavia, fino ad oggi, non risulta che siano state intraprese azioni concrete per riportare in patria l’oro custodito all’estero né che sia necessario farlo.
La leggerezza dell’oro
Le riserve auree italiane rappresenterebbero circa il 70% delle riserve totali del nostro Paese, una percentuale particolarmente alta rispetto alla media mondiale. Tanto che ci si potrebbe chiedere che senso abbia conservare tonnellate e tonnellate di oro nell’epoca delle “valute fiat” (cioè le monete stampate direttamente senza corrispettivo aureo) e degli scambi elettronici totalmente dematerializzati.
Tuttavia, un significato ci deve essere, visto che la tendenza va in quella direzione. E non solo perché l’oro ha guadagnato quasi il 40% di valore, anno su anno. “Negli ultimi anni, secondo le mie ricerche – dice a Wired l’economista Luca Paolazzi, direttore scientifico della fondazione Nord Est e advisor di Ceresio Investors – le banche centrali, a partire da quella tedesca e polacca, stanno acquistando oro a ritmi record“.
È un’anomalia che si spiega con un motivo semplice: “Lo lego al fatto che c’è sempre meno fiducia tra i governi dei vari paesi. È una diversificazione del portafoglio: di fronte all’incertezza sul futuro e la stabilità dei titoli di stato e dei mercati finanziari, l’oro rimane un bene rifugio che può essere facilmente scambiato“, dice Paolazzi.
Il mondo dopo il Gold Standard
L’oro infatti è storicamente considerato un bene rifugio. Avere riserve auree rafforza la fiducia nella solidità finanziaria di uno Stato e della sua moneta, specialmente in periodi di crisi economica o geopolitica.
E non è solo teoria. Negli anni settanta l’Italia diede come garanzia alla Germania una frazione della nostra riserva aurea in cambio di un prestito che ci ha sostanzialmente salvato dal default.
Ma c’è anche un altro motivo, non tanto economico quanto di politica: l’oro protegge i bilanci degli Stati dall’inflazione e dalle svalutazioni valutarie provocate da altre valute, poiché tende a mantenere il proprio valore nel tempo.
Molti paesi, tra cui Cina e Russia, hanno aumentato le loro riserve auree per ridurre la dipendenza dal dollaro Usa.
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E gli stessi Stati Uniti, che avevano l’obbligo di convertire dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l’oncia, stabilito nel 1944 a Bretton Woods, nel 1971, durante la presidenza di Richard Nixon, hanno sganciato il dollaro dall’oro, facendo entrare l’economia mondiale in una nuova fase nella quale parzialmente ancora viviamo.
Tuttavia, anche se le principali valute non sono più ancorate all’oro (il Gold Standard), le riserve auree possono essere utilizzate come garanzia in caso di necessità, ad esempio per rafforzare la credibilità di una moneta in difficoltà. In situazioni estreme (guerre, sanzioni, collassi finanziari), l’oro è un asset facilmente liquidabile e accettato ovunque, garantendo una forma di pagamento affidabile quando le valute tradizionali perdono valore o accessibilità.
Alcuni Stati usano l’oro per garantire prestiti internazionali o come collaterale per transazioni economiche di alto livello, soprattutto nei mercati emergenti o per economie soggette a restrizioni finanziarie.
Negli ultimi anni, come abbiamo visto, diversi Paesi stanno rimpatriando le proprie riserve auree per aumentare il controllo diretto sul metallo, segno che l’oro rimane una risorsa strategica anche nell’era digitale.
Riserve Auree e Riserve Valutarie per Paese
Si noti che le riserve valutarie degli Stati Uniti sono relativamente basse rispetto ad altri paesi, poiché il dollaro USA funge da valuta di riserva mondiale, riducendo la necessità per gli Stati Uniti di detenere grandi quantità di riserve in valuta estera.
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I dati riportati sono basati sulle informazioni più recenti disponibili fino al 2024.
I Paesi con la bilancia commerciale in avanzo normalmente hanno riserve valutarie maggiori rispetto a paesi che mostrano un disavanzo commerciale. L’Arabia Saudita e Russia hanno riserve valutarie comparativamente più alte derivanti dall’export di petrolio e gas naturale. La Svizzera è al terzo posto per riserve valutarie detenute a motivo del volume dei depositi esistenti presso il sistema bancario svizzero.