Il presidente USA Donald Trump sorprende ancora e decide una pausa di 90 giorni sui dazi portandoli di default al 10% per tutti, Cina a parte. Pechino, infatti, sconta ancora tariffe commerciali che superano il 125% dal 104% fissato non più tardi di ieri. Restano però in vigore quelli su acciaio, alluminio e auto.
Un cambio di rotta che ha dato sollievo ai mercati asiatici, tutti in ripresa. Il primo esempio arriva dalla Borsa di Tokyo che, nonostante le tariffe sul fronte cinese vede un Nikkei chiudere con il secondo maggiore rialzo giornaliero di sempre a +9,13%, a quota 34.609, e un aumento di quasi 2.900 punti. In positivo, seppur con guadagni inferiori agli altri listini asiatici, anche i listini cinesi. Il Composite di Shanghai vede un +1,16%, a 3.223,64 punti, mentre quello di Shenzhen registra +2,46%, a quota 1.868,39.
Ed è anche la Cina a soffrire di una situazione di incertezza nonostante il fatto che Washington abbia avanzato proposte di dialogo. Proposte a cui la portavoce del ministero del Commercio cinese He Yongqian ha risposto “Il dialogo ha principi e la consultazione ha un risultato finale. Non accetteremo mai pressioni estreme e bullismo da parte degli Stati Uniti” aggiungendo “se gli Stati Uniti insistono nel seguire la propria strada, la Cina li seguirà fino alla fine. Non c’è vincitore in una guerra commerciale e il protezionismo è una strada a senso unico”.
Allo stesso tempo, però, la nuova strategia di Trump ha aumentato la frenesia da parte degli investitori. Anche in questo caso i segnali li invia il mercato e, nello specifico quello statunitense dove i futures soffrono per volatilità e incertezza. I contratti sul Nasdaq cedono lo 0,9%, quelli sull’S&P 500 lo 0,43% e quelli sul Dj quasi in parità con un -0,09%. Ma il mercato a stelle e strisce vede movimenti anche sul fronte obbligazionario. La precedente impennata, infatti, potrebbe essere stata una delle varie leve che hanno portato il tycoon a scegliere una linea meno aggressiva. Il rendimento dei titoli di Stato decennali statunitensi è sceso al 4,29% dal 4,5%. Parallelamente il rendimento del trentennale, giunto alla soglia del 5%, è in calo verso il 4,69%.
Tra questi il premier italiano Giorgia Meloni che guarda ancora alla sua proposta “zero per zero” ovvero eliminare da entrambe le sponde dell’oceano la politica protezionistica. Sulla stessa scia anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che considera il cambio di rotta di Trump un “passo importante verso la stabilizzazione dell’economia globale” aggiungendo che “Condizioni chiare e prevedibili sono essenziali affinché il commercio e le catene di approvvigionamento funzionino. L’Unione Europea resta impegnata a condurre negoziati costruttivi con gli Stati Uniti”.
Continua il calo del petrolio proprio a causa dell’incertezza dei rapporti USA-Cina. Il Brent scende dell’1% a 64,82 dollari al barile mentre il Wti perde lo 0,85% a 61,82 dollari.
Sullo sfondo di quello che potrebbe essere un dato preoccupante con un petrolio che ha toccato i minimi da quattro anni a questa parte, Carlo Vallotto esperto di materie prime e metalli preziosi, offre una fotografia di quanto sta accadendo.
“Il mercato petrolifero globale è stato scosso nelle ultime sessioni, poiché l’escalation della guerra commerciale da parte dell’amministrazione Trump, più la spinta di alcune altre economie tra cui la Cina, hanno aumentato i rischi di recessione e i venti contrari per il consumo energetico. Allo stesso tempo, l’OPEC+ ha cambiato direzione, aggiungendo più barili di quanto ci si aspettasse dopo un lungo periodo di restrizione dell’offerta. In questo contesto, banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley e Societe Generale SA hanno tagliato le previsioni di base, oltre a esplorare risultati ribassisti e rialzisti meno probabili. Questa è una pratica comune per gli osservatori delle materie prime, mentre esaminano gli scenari in condizioni diverse.
Vallotto, inoltre, conclude ricordando che “I report mensili di OPEC ed EIA potrebbero essere posticipati a causa dell’instabilità del momento che, di fatto, impedisce di fare un’analisi precisa. Quello che ci si può aspettare è un possibile rimbalzo dello shail oil americano sui livelli dei 50 dollari, livello che rappresenta il costo di produzione”.