Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco torna a far parlare di sé. E mentre nuove analisi scientifiche aprono la possibilità di una revisione del processo, emergono anche i contorni economici di una vicenda giudiziaria tra le più lunghe e complesse della cronaca italiana recente. Stabilire con esattezza quanto sia costato finora allo Stato è impossibile: non esiste, infatti, una rendicontazione pubblica dettagliata delle spese sostenute per singoli procedimenti. Tuttavia, analizzando le principali voci coinvolte, è possibile tracciare una stima realistica, che supera abbondantemente il milione di euro.
Cinque gradi di giudizio e oltre dieci anni di carcere
Il processo a carico di Alberto Stasi – condannato in via definitiva nel 2015 a 16 anni di reclusione – ha attraversato un percorso giudiziario tortuoso: assoluzione in primo grado, conferma in appello, annullamento in Cassazione, condanna nell’appello bis e nuova conferma in Cassazione. Ogni fase ha comportato decine di udienze, spese per magistrati, cancellieri, notifiche, trascrizioni, oltre a perizie e consulenze tecniche richieste dal giudice o dalle parti.
Secondo l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, i soli costi sostenuti dalla parte civile tra parcelle e perizie ammontano a circa 300.000 euro. A questi si somma un risarcimento da un milione di euro disposto a favore della famiglia, a carico del condannato.
Anche lo Stato ha sostenuto spese importanti. Tra queste, quelle per i periti nominati d’ufficio, che Stasi è stato condannato a rimborsare – circa 200.000 euro – ma che, secondo fonti giudiziarie, non sarebbero ancora state effettivamente versate.
Il peso della detenzione
Al costo del procedimento va aggiunto quello della detenzione. Dal 2015, Stasi è recluso nel carcere di Bollate. In Italia, il mantenimento di un detenuto costa tra i 130 e i 150 euro al giorno. Su base annua, si tratta di circa 50.000–55.000 euro. In dieci anni, la spesa si aggira intorno al mezzo milione di euro.
Nuove indagini, possibili scenari
Nel marzo 2025, la giudice per le indagini preliminari di Pavia ha autorizzato un maxi incidente probatorio: al centro, nuove analisi genetiche relative ad Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Le indagini mirano a verificare se alcune tracce rilevate sotto le unghie di Chiara – un tempo considerate inidonee – possano oggi, grazie alle nuove tecnologie, essere attribuite a un soggetto diverso da Stasi. Si indaga anche su altri reperti mai analizzati, come frammenti del tappetino del bagno e oggetti domestici.
La difesa di Stasi, che ha sempre sostenuto la sua innocenza, ha dichiarato che i risultati di queste analisi potrebbero aprire la strada a un’istanza di revisione del processo. Tuttavia, nonostante l’interesse mediatico, alcuni esperti, tra cui la criminologa Roberta Bruzzone, invitano alla cautela.
Un processo da oltre un milione di euro
Se si sommano tutte le voci – spese processuali, consulenze, oneri per i periti, detenzione e costi indiretti legati alla gestione di un processo così complesso – il bilancio economico per lo Stato supera facilmente il milione di euro. Una cifra destinata ad aumentare se le nuove indagini dovessero sfociare in una revisione processuale.
Nel caso in cui Stasi fosse riconosciuto innocente, potrebbe chiedere un risarcimento per ingiusta detenzione o errore giudiziario. L’indennizzo massimo previsto per la prima ipotesi è di circa 516.000 euro, mentre in caso di errore giudiziario, la legge non fissa alcun tetto. Ma ottenere una revisione è tutt’altro che semplice: servono prove nuove, decisive e mai valutate prima.
L’intervista
Roberta Bruzzone è una criminologa e psicologa forense molto nota al grande pubblico. Soprattutto, ha seguito con particolare attenzione il “caso Garlasco”, tanto da averlo portato anche in teatro.
Alcuni parlano di un possibile errore giudiziario, altri di una nuova pista. Lei è sempre stata molto netta: per lei il caso è chiuso?
«Assolutamente sì. Io quel caso lo conosco in profondità. La verità giudiziaria è stata accertata. Le sentenze hanno avuto un percorso molto complesso, ma oggi parliamo di una sentenza passata in giudicato, confermata anche a livello europeo. La CEDU ha rigettato il ricorso di Stasi definendolo inammissibile. Di cosa stiamo parlando adesso? Di nulla che abbia un valore probatorio concreto».
Secondo alcune stime, il costo complessivo del processo avrebbe superato il milione di euro. È plausibile?
«Direi che la cifra è incalcolabile. Tra perizie, consulenze, nuove indagini, ore lavoro da parte di personale delle Forze di Polizia e fasi processuali, quantificare con precisione è impossibile allo stato. Ma il punto vero è un altro: chi sta pagando tutto questo e sotto quanti profili? Beh, sicuramente il conto per il sistema giustizia è piuttosto salato. Senza contare il dolore straziante che si ripropone, per l’ennesima volta, alla famiglia della povera Chiara dopo che lo stato, dopo ben 8 anni dai fatti, aveva consegnato loro la verità “oltre ogni ragionevole dubbio”. Perché se oggi si continua a rimettere in discussione un caso già chiuso, lo si fa a spese della collettività e di coloro che alla vittima hanno voluto bene. Questa vicenda sta assumendo le dimensioni di un cortocircuito mediatico e giudiziario senza precedenti».
Lei ha parlato di elementi “inconsistenti” nelle nuove piste. Si riferisce al frammento di DNA trovato su un’unghia della vittima?
«Si tratta di tre piccoli frammenti sub ungueali che all’epoca non vennero esaminati dal RIS perché le indagini genetiche su tutto il resto delle mani (unghie comprese) aveva dato esiti negativi per la ricerca di tracce biologiche estranee a quelle della vittima. L’analisi si concentrò sulla ricerca del solo alotipo Y e diede esiti diversi nelle tre ripetizioni che vennero effettuate. In una analisi esce un profilo parziale del solo cromosoma Y, poi salta fuori un profilo con due picchi e quindi una miscela di tracce appartenenti a due individui diversi, poi un risultato nullo. Insomma, un bel pasticcio a fini probatori. Quale risultato prendiamo per buono? A mio avviso non è possibile basare una ipotesi investigativa solida su elementi tanto instabili. Senza contare che oggi abbiamo a disposizione gli esiti di una nuova consulenza sulla impronta n 33 che, almeno sulla carta, dovrebbe essere ancora coperta da segreto investigativo…».
A distanza di quasi vent’anni, è emerso anche un presunto nuovo testimone. Cosa pensa della sua versione?
«Penso che sia decisamente poco credibile. Questo signore avrebbe riferito che una signora gli avrebbe confidato di aver visto Stefania Cappa il 13 agosto del 2007 intenta ad entrare nel giardino di casa della nonna con un borsone con sé. Poi, secondo l’uomo, la signora avrebbe sostenuto di aver sentito un tonfo nell’acqua della vicina roggia. Roggia che viene perlustrata solo ora, 18 anni dopo i fatti, e in cui sarebbero stati trovati alcuni oggetti ritenuti di interesse. Oggetti che, si badi bene, non sarà mai possibile collegare alla scena del crimine in maniera affidabile. Insomma, tutto molto “suggestivo”. Ma non necessariamente quando c’è del fumo poi arriva anche l’arrosto».
E del presunto movente alternativo, che escluderebbe Alberto Stasi?
«Il movente per l’omicidio c’era eccome, ed era legato alla relazione tra Chiara e Alberto, non certo alle fantomatiche relazioni tra Chiara e altre persone. ne sto sentendo di tutti i colori tra sette sataniche, festini torbidi e suicidi vari. Insomma, una trama che fa invidia alla ben nota serie di qualche anno fa, Twinn Peaks. Ci si fanno molte domande sul profilo psicologico di Andrea Sempio sulla base di post Facebook risalenti e alcuni presunti bigliettini ma le assicuro che l’abbondantissimo materiale pornografico, decisamente sui generis, trovato nel pc di Stasi non è da meno per arrivare a stilare un profilo personologico a dir poco preoccupante a carico dell’ex studente bocconiano».
Come giudica, da esperta, l’uso dei media in questa vicenda?
«Lo giudico davvero preoccupante. Migliaia di messaggi da parte di persone che del caso nulla sanno con tutta evidenza e che entrano nel merito di questioni tecniche complesse senza la benché minina cognizione di causa. Ogni giorno si leggono nuove ipotesi, consulenze tecniche che dovrebbero rimanere riservate finiscono sui giornali. E intanto la vita delle persone viene messa in piazza. Anche di coloro che non sono mai stati neppure mai indagati Non solo quella di Alberto Stasi, ma anche quella dei parenti di Chiara. È un cortocircuito pericolosissimo. Si piega la scienza al servizio di una narrativa parziale e scivolosa. Si cerca di accreditare la narrazione di un complotto giudiziario dove, a mio avviso, non c’è mai stato nulla del genere. E tutto questo ha un costo umano e sociale altissimo. ma una cosa è certa a mio avviso: l’unico che trarrà vantaggio da tutto questo uragano mediatico è sicuramente Alberto Stasi, perché ora l’opinione pubblica è saldamente dalla sua parte e chiunque invita alla cautela e ad attendere gli esiti di questa nuova inchiesta viene letteralmente aggredito dal web. Il tribunale mediatico ormai lo ha assolto in via definitiva. Quello giudiziario no. Ma ormai questo sembra essere passato in secondo piano».
Secondo lei, ci sono rischi anche per altri casi giudiziari?
«Certo. Questo precedente rischia di aprire la strada a una deriva pericolosa ed ingiusta. Ogni volta che una verità giudiziaria non piace a qualcuno, basterà far uscire qualche presunto nuovo elemento, cercare visibilità, e magari puntare a una revisione. Ma la giustizia non funziona così. Se ci sono elementi seri, si procede. Ma qui non ci sono stati fermi, misure cautelari, nulla del genere. Solo rivisitazioni di elementi a dir poco scivolosi, trasformati in presunti colpi di scena “ben” posizionati all’interno di una narrazione che è diventata più avvincente di una serie TV».
Possiamo dire che la procura oggi è protagonista a spese nostre?
«Beh, sicuramente possiamo dire che abbiamo un un pool di magistrati che oggi coltiva il “ragionevole dubbio” con determinazione e che ha indagato Andrea Sempio ipotizzando che abbia agito in concorso con ignoti o con Alberto Stasi, nonostante altri giudici, non molto tempo fa, abbiano confermato invece la condanna respingendo le richieste di revisione del processo in più occasioni. Questo è sicuramente uno scenario davvero singolare che ha costi notevoli e che torna nuovamente a mettere in discussione il diritto della famiglia di Chiara a scrivere la parola “fine” di questa storia di dolore inimmaginabile».
Grazie, dottoressa. Come sempre, è stata chiarissima.
«Grazie a voi. E mi auguro che questa deriva si fermi, per rispetto della giustizia e di chi, da questa storia, è già stato colpito abbastanza».
(foto ANSA)