Michel Platini festeggia settant’anni. È un traguardo personale, certo, ma anche pubblico: perché pochi protagonisti del calcio mondiale hanno avuto una parabola così esposta, lunga, ambivalente. Un campione assoluto sul campo, un dirigente visionario e divisivo, un uomo che ha conosciuto la gloria e la marginalizzazione, per poi tornare – da assolto – a guardare il mondo del pallone da una distanza consapevole. Il tempo lo ha segnato, ma non piegato.
L’epopea in campo: talento, numeri, leadership
Nato il 21 giugno 1955 nel cuore operaio della Lorena francese, a Jœuf, nel 1955, Michel François Platini è cresciuto in una famiglia dove il calcio era parte della cultura quotidiana. Figlio di Aldo Platini, calciatore e poi dirigente, Michel ha respirato pallone fin dall’infanzia, distinguendosi presto per visione di gioco e intelligenza tattica.
Dopo aver mosso i primi passi nel Nancy, si affermò definitivamente con la maglia del Saint-Étienne, vincendo un campionato francese nel 1981. Ma fu a Torino, nella Juventus, che raggiunse la vera consacrazione internazionale. Tra il 1982 e il 1987 fu il faro della squadra bianconera, con cui vinse tutto: due scudetti, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, una Coppa dei Campioni e l’Intercontinentale. Giocava da trequartista, ma segnava come un centravanti: fu capocannoniere della Serie A per tre stagioni consecutive.
Nel frattempo, con la nazionale francese, diventava l’anima di una generazione straordinaria. Agli Europei del 1984, disputati in patria, guidò i Bleus al primo titolo continentale della loro storia, segnando nove gol in cinque partite. Un exploit tecnico e carismatico che lo pose definitivamente tra i grandi. Il Pallone d’Oro gli fu assegnato nel 1983, 1984 e 1985: tre volte di fila, come solo Messi e van Basten riusciranno a fare più tardi.
Un ritiro sorprendente e dignitoso
Nel 1987, a soli 32 anni, Platini annunciò il ritiro dal calcio giocato. Una decisione che sorprese tutti: era ancora nel pieno delle sue capacità tecniche, ma il fisico cominciava a presentare il conto. Non volle trascinarsi per stagioni marginali. Lo fece senza tournée celebrative, senza enfasi, rimanendo coerente con quella sobrietà che lo ha sempre distinto. Disse, con la lucidità che lo ha sempre accompagnato: «Meglio lasciare il calcio quando ancora ti ama, piuttosto che aspettare che ti dimentichi». Il suo addio fu anche simbolico: in un calcio che si avviava verso l’era televisiva e spettacolare, Platini salutava da uomo d’altri tempi, capace di decidere secondo la propria coscienza, non per convenienza o nostalgia.
Da commissario tecnico a presidente UEFA
Dopo il ritiro, iniziò una carriera da dirigente che lo portò in alto molto rapidamente. Prima come commissario tecnico della nazionale francese (1988–1992), poi come membro della FIFA, infine come presidente dell’UEFA, carica che assunse nel 2007 e che mantenne per otto anni.
Il suo mandato fu segnato da importanti innovazioni: introdusse il Fair Play Finanziario per contenere le spese delle grandi squadre, allargò l’Europeo da 16 a 24 squadre, promosse l’utilizzo della tecnologia e si batté per un calcio più sostenibile e meritocratico. Al contempo, non mancarono polemiche: il suo appoggio al Qatar 2022, la vicinanza ad ambienti controversi della FIFA, e l’accusa di eccessiva personalizzazione del potere fecero emergere contraddizioni mai risolte del tutto. Ma Platini era, ed è, una figura troppo grande per lasciare indifferenti: capace di visione strategica, provocatorio, spiazzante, non sempre diplomatico, ha rappresentato un modello europeo di gestione del calcio, diverso dallo stile FIFA.
L’affaire FIFA: sospensione, processo e assoluzione

Michel Platini durante una conferenza stampa – EPA/GEORGI LICOVSKI
Nel 2015 esplose lo scandalo FIFA. Al centro, il pagamento di 2 milioni di franchi svizzeri ricevuti da Platini nel 2011 da parte dell’allora presidente Sepp Blatter, per una consulenza “verbale” risalente a un decennio prima. La mancanza di un contratto scritto e il tempismo sospetto dell’operazione gli costarono una lunga sospensione da ogni attività calcistica.
Squalificato per sei anni (ridotti poi a quattro dal TAS), fu escluso dalla corsa alla presidenza della FIFA e si ritrovò, di colpo, fuori da tutto. Platini si è sempre proclamato innocente. E nel marzo 2025, dopo un lungo iter giudiziario, la Corte federale svizzera lo ha definitivamente assolto, riconoscendo che non esistevano elementi per configurare un reato. «Ho finalmente riavuto il mio onore. Nessun rimorso, ma molto rammarico – ha dichiarato dopo la sentenza -. Perché per dieci anni non ho potuto difendermi sul campo dove avevo lavorato di più: il calcio».
Il valore economico di una reputazione
L’assoluzione ha avuto anche una ricaduta economica: Platini ha ricevuto un risarcimento da parte delle autorità svizzere (circa 180.000 franchi, poco meno di 200.000 euro ), ma il vero valore è simbolico e reputazionale. Secondo stime della stampa economico-sportiva francese, il suo patrimonio netto si aggira oggi intorno ai 15 milioni di euro, frutto di ingaggi da calciatore, cariche istituzionali, attività di consulenza, diritti d’immagine e rendite da eventi.
Il processo gli ha impedito per anni di monetizzare il suo nome nel mondo del calcio: tra sponsorizzazioni, incarichi e partecipazioni televisive, si stima che abbia perso potenzialmente fino a 8–10 milioni di euro tra il 2016 e il 2024. Una cifra importante, che non ha mai rivendicato pubblicamente. Ma che pesa nel bilancio di una carriera pubblica.
E oggi? Lontano dai riflettori, ma con lo sguardo alto

Michelle Platini durante la 20/a edizione Vialli e Mauro golf cup presso Royal Park Roveri, Torino – ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
Ai microfoni di France Inter, lo scorso marzo, Platini ha confermato che non ha intenzione di rientrare a pieno titolo nel mondo del calcio istituzionale. «Non mi interessa tornare presidente. Sono felice così. A 70 anni, ci si prende il lusso di scegliere», ha detto. Eppure, continua a ricevere proposte. Alcuni club europei gli hanno offerto ruoli da consulente o ambasciatore. La Juventus, sua vecchia casa, ha più volte espresso il desiderio di un suo ritorno. Lui ha sempre risposto con cortesia e fermezza: «L’Agnelli mi propose di tornare già 40 anni fa. Ma io volevo stare a casa». Non è misantropia, ma libertà. Dopo una vita vissuta sotto i riflettori, Platini ha scelto un passo laterale. Non ha bisogno di tornare per essere ricordato.
Irremplaçable
Michel Platini compie 70 anni con la leggerezza di chi ha già lasciato un’impronta indelebile. Un calciatore straordinario, un dirigente ambizioso, un uomo travolto da un sistema opaco e poi riabilitato con pieno diritto. Il tempo ha restituito alla sua figura una dignità che il processo mediatico gli aveva negato. E oggi, mentre guarda il calcio da lontano, forse con più ironia che malinconia, resta un’icona intatta. Non perfetta, ma umana. E ancora irripetibile.
(foto ANSA)