Oggi 26 giugno 2025 il Tribunale di Vicenza ha emesso una sentenza che rimarrà impressa negli annali dell’ambiente italiano: undici manager – tra cui dirigenti di Miteni, Mitsubishi e Icig – sono stati condannati per disastro ambientale doloso, avvelenamento delle acque e gestione illegale di rifiuti. Il totale delle pene inflitte ammonta a 141 anni di reclusione, con sentenze individuali che spaziano dai 2 anni e 8 mesi fino a 17 anni e mezzo.
Ma oltre alle pene detentive, sono stati stabiliti risarcimenti per migliaia di vittime: da singoli cittadini e associazioni fino al Ministero dell’Ambiente, accreditato di 58 milioni di euro, mentre la Regione Veneto riceverà oltre 6,5 milioni. L’insieme di risarcimenti supera i 75 milioni, distribuiti tra oltre 300 parti civili, tra cui Comuni, sindacati, gestori idrici e associazioni. È evidente che si tratti di una pronuncia pesantissima, oltre le richieste originarie dell’accusa.
Il processo
Il processo, partito nel 2021, ha svelato come l’amianto chimico PFAS – comunemente noto come “forever chemicals” – prodotto dallo stabilimento Miteni di Trissino, abbia contaminato vaste porzioni del Veneto, estendendo la sua presenza fino alla seconda falda acquifera più ampia d’Europa, colpendo circa 300 000 persone tra Vicenza, Verona e Padova. Le prove raccolte hanno dimostrato come la dirigenza, non solo ignorò gli allarmi sulla contaminazione, ma si sarebbe attivata per ostacolare il monitoraggio e la comunicazione del disastro.
Le reazioni delle parti civili sono state immediate e intense: le “Mamme No PFAS”, insieme a comitati, ambientalisti e rappresentanti istituzionali, hanno accolto la sentenza con emozione, abbracci e applausi in aula. “Ce l’abbiamo fatta – ha detto Michela Piccoli del comitato Mamme No PFAS – Questa sentenza deve essere esemplare per chi inquina”.
Anche Greenpeace ha definito la sentenza come un “risultato storico”, frutto di anni di campagne, denunce e lavoro investigativo, definendo il principio “chi inquina paga” come finalmente applicato.
Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha ricordato che fu proprio la Regione a segnalare il caso già nel 2013 e che oggi la sentenza conferma la gravità del danno, rafforzando l’azione normativa avviata in questi anni.
Anche la CGIL ha valutato positivamente l’esito del processo, sottolineando che ora serve estendere l’attenzione anche alla salute dei lavoratori e alla sicurezza sul lavoro.
E la bonifica?
Il giudizio tuttavia apre un secondo capitolo: quello della bonifica. Il Comune di Trissino ha già approvato un “documento di analisi del rischio”, primo atto verso il piano di bonifica atteso entro sei mesi. Ma la vera sfida resta la pulizia delle acque di falda, ancora contaminate e senza un percorso definito.
In conclusione, la sentenza Miteni del 26 giugno segna una svolta nel rapporto tra giustizia e ambiente in Italia: le pene sono severe, i risarcimenti significativi e la responsabilità politica, ambientale e morale finalmente riconosciuta. Ora la vera prova sarà trasformare questo verdetto in azioni concrete: bonificare la falda, restituire acqua pulita ai cittadini e impedire che simili catastrofi si ripetano.
(foto ANSA)