Nella cornice di un’economia globale che appare sempre più fragile, le parole e le previsioni di due attori chiave hanno scosso l’avvio della giornata sui mercati: da un lato JPMorgan, che ha diffuso un outlook preoccupato, dall’altro Jerome Powell, che ha cercato di rassicurare con toni prudenti. Il risultato? Un’apertura dei listini sotto il segno dell’equilibrio instabile, tra rialzi contenuti, rimbalzi tecnici e un mercato valutario che continua a mostrare segni di tensione.
JP Morgan: “Rischio stagflazione”
Secondo la nota diffusa dalla banca statunitense, l’economia americana è destinata a crescere nel 2025 a un ritmo più lento del previsto. Il PIL, inizialmente stimato intorno al +2%, viene ora rivisto al ribasso all’1,3%, mentre il rischio di recessione nella seconda metà dell’anno è quantificato al 40%. Le cause principali vengono identificate nella pressione inflazionistica derivante dai dazi commerciali introdotti dall’amministrazione USA e in un clima di crescente incertezza regolatoria e geopolitica.
Per JPMorgan, la combinazione tra rallentamento e aumento dei prezzi rischia di far sprofondare gli Stati Uniti in una spirale stagflattiva, scenario da cui il mercato si illudeva ormai da mesi di essere al riparo. Sul piano dei rendimenti, la banca stima che i titoli di Stato a due anni possano scendere al 3,5% entro fine anno, con i decennali fermi poco sopra il 4,3%, riflettendo un raffreddamento della domanda globale di bond americani.
La prudenza di Powell
Proprio su questo fronte è intervenuto il presidente della Federal Reserve. In audizione al Senato, Jerome Powell (nella foto) ha dichiarato che lo scenario base per la banca centrale non contempla la stagflazione, pur riconoscendo che i dazi potrebbero introdurre distorsioni persistenti nei prezzi al consumo. «Siamo consapevoli dei rischi derivanti dall’inflazione tariffaria – ha spiegato Powell – ma riteniamo che sia necessario tempo per valutarne gli effetti reali. Agire ora sarebbe prematuro». Parole che lasciano intendere come, almeno nel breve periodo, la Fed non sia orientata verso un taglio dei tassi, smentendo implicitamente le attese di parte del mercato che scommettevano su una riduzione già tra luglio e settembre.
La reazione dei mercati
Sullo sfondo di questo doppio messaggio – allarmato da un lato, prudente dall’altro – i mercati hanno aperto in lieve rialzo. In Europa lo Stoxx 600 guadagna circa lo 0,3%, sostenuto soprattutto dai titoli tecnologici, mentre il Nasdaq 100 ha registrato un ulteriore massimo intraday. Anche il comparto energetico ha mostrato segnali di tenuta, con il prezzo del Brent che ha sfiorato i 67 dollari al barile dopo una settimana segnata da ampie oscillazioni. In parallelo, l’euro si è rafforzato ulteriormente nei confronti del dollaro, toccando i massimi da oltre tre anni: una dinamica che riflette, secondo gli analisti, non tanto una maggiore fiducia nell’Eurozona, quanto una crescente sfiducia verso la direzione della politica monetaria statunitense.
Il mercato obbligazionario ha confermato questa lettura. I rendimenti sui Treasury a dieci anni sono scesi sotto il 4,30%, mentre il differenziale tra i biennali e i decennali si è ridotto, segnalando una minore propensione al rischio e un aumento della domanda di copertura. La volatilità resta sotto controllo, ma in leggera ripresa dopo settimane di apparente calma. Segno che gli operatori stanno iniziando a prezzare una maggiore instabilità nei prossimi mesi.
Un’attesa sospesa
L’impressione, in definitiva, è che il mercato stia vivendo una fase di attesa sospesa. Le previsioni negative di JPMorgan hanno riacceso i timori, ma le dichiarazioni di Powell, più misurate, hanno contribuito a evitare reazioni eccessive. Resta il nodo delle politiche tariffarie americane, che potrebbero cambiare radicalmente il quadro se confermate in modo strutturale. Intanto, i capitali si muovono con cautela, in cerca di settori rifugio: la tecnologia resta una scommessa privilegiata, così come l’intelligenza artificiale, ma non mancano segnali di rotazione settoriale verso comparti più difensivi.
Se davvero la stagflazione non è lo scenario base, come dice Powell, il mercato ha ancora margini di manovra. Ma se la previsione di JPMorgan dovesse avverarsi, ci attende un secondo semestre molto più complicato di quanto si potesse immaginare.
(foto ANSA)