L’Italia, scelta insieme alla Turchia per ospitare i Campionati Europei del 2032, rischia di trovarsi con l’abito buono ancora in sartoria. Mentre la macchina organizzativa si mette lentamente in moto, il vero nodo da sciogliere resta quello degli stadi: oggi, tra progetti fermi, lungaggini burocratiche e strutture vetuste, il Paese non è pronto.
A lanciare l’allarme è la stessa UEFA, che da mesi segnala come la quasi totalità degli impianti italiani non risponda ai criteri richiesti per accogliere una competizione di questo livello. L’unico stadio davvero in regola, almeno per ora, è l’Allianz Stadium di Torino (nella foto), moderno e di proprietà del club, un’anomalia nel panorama nazionale.
Il paradosso San Siro
Emblema delle difficoltà italiane è San Siro, simbolo del calcio mondiale e, al tempo stesso, caso irrisolto. Costruito nel 1926, ampliato più volte e ormai privo dei requisiti minimi per garantire servizi all’altezza: ristorazione inadeguata, spazi hospitality inesistenti, scarsa efficienza energetica. Milan e Inter, sostenute da capitali americani, chiedono da tempo un nuovo impianto. Il progetto da oltre 1,2 miliardi di euro è bloccato da anni, ostaggio di vincoli architettonici e resistenze civiche. Intanto, ogni stagione persa comporta mancati ricavi stimati in oltre 50 milioni a club tra incassi e mancata valorizzazione del brand.
Non è solo una questione estetica
Dietro alla questione stadi si gioca una partita ben più ampia: quella dei ricavi. Il confronto con gli altri campionati è impietoso. I club italiani incassano meno della metà rispetto alle società inglesi dalla voce “matchday”. Nel 2023–24, la Serie A ha generato circa 440 milioni di euro da biglietti e abbonamenti, a fronte di oltre 1 miliardo e 200 milioni incassati dalla Premier League. La differenza si spiega anche con i numeri delle presenze: negli stadi inglesi l’occupazione media supera il 95%, in Italia si ferma intorno al 67%, con strutture spesso non all’altezza dell’esperienza spettatore.
La corsa contro il tempo
A fronte di questo scenario, il governo sta valutando la nomina di un commissario straordinario, con poteri speciali per sbloccare i progetti più urgenti. Il ministro dello Sport Andrea Abodi ha fissato una scadenza precisa: entro ottobre 2026 l’Italia dovrà indicare alla UEFA quali saranno i cinque stadi pronti a ospitare l’Europeo. Nessun margine di deroga.
Secondo le stime del Ministero, per garantire la ristrutturazione o costruzione ex novo degli impianti principali – tra cui San Siro, Olimpico, Franchi, San Nicola – servono tra i 4,5 e i 5 miliardi di euro complessivi. Ma non è solo una questione di soldi. A mancare, spesso, è una visione d’insieme. L’idea che uno stadio possa e debba diventare molto più di un contenitore per partite di calcio: un polo culturale, commerciale, turistico. In questo senso, l’Italia è ancora ferma a una logica novecentesca.
Lo scenario globale: stadi del futuro, investimenti del presente
Mentre l’Italia si interroga su come recuperare il tempo perso, all’estero si corre. Secondo uno studio Deloitte pubblicato a inizio 2025, nel solo arco dell’anno oltre 300 stadi in Europa e Nord America saranno oggetto di interventi strutturali. Parliamo di una spesa aggregata superiore a 30 miliardi di dollari, sostenuta in parte da fondi pubblici, ma soprattutto da capitali privati, fondi infrastrutturali e partnership corporate.
Il concetto è chiaro: uno stadio moderno non ospita solo partite. Può diventare sede di concerti, eventi aziendali, aree commerciali, hotel, spazi coworking. Un esempio concreto è quello del Tottenham Hotspur Stadium, costato 1,3 miliardi di sterline, che oggi genera oltre 120 milioni di euro all’anno solo da eventi extra-calcistici. L’Allianz Arena di Monaco, altro caso emblematico, accoglie ogni anno più di 2 milioni di visitatori, tra tifosi e turisti.
Una grande occasione (se non si perde)
Euro 2032 può rappresentare per l’Italia molto più di un torneo. Può essere l’occasione per rilanciare un intero comparto, per restituire competitività al calcio italiano e allo stesso tempo riqualificare intere aree urbane. Secondo Nomisma, ogni euro investito in infrastruttura sportiva genera tra 2,5 e 3,1 euro di ricaduta economica diretta tra indotto edilizio, turismo e servizi.
Ma serve coraggio. Serve uscire dalla logica del “non si può fare”, superare i veti incrociati, snellire procedure e puntare su modelli di gestione sostenibili. Il tempo stringe. E in una sfida così, come in campo, chi esita viene superato.
(foto ANSA)