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Lo Stato rientra in Ilva: siglato l’accordo tra ArcelorMittal e Invitalia

Maria Lucia Panucci
11 Dicembre 2020
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Il Mef entrerà al 50%, per poi salire al 60%. L’obiettivo è trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio green in Europa Lo Stato […]

Il Mef entrerà al 50%, per poi salire al 60%. L’obiettivo è trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio green in Europa

Lo Stato riprende il controllo delle acciaierie dell’ex Ilva, tornando così al timone dell’impianto siderurgico più grande in Europa che aveva venduto 25 anni fa ai Riva. ArcelorMittal e Invitalia hanno firmato l’accordo che consente alla società controllata dal Mef di entrare al 50%, per poi salire al 60%, nella compagine azionaria della Am Investco, che ha in gestione gli impianti siderurgici in Italia. 

In particolare il piano prevede un aumento di capitale da parte di Am Investco per un valore di 400 milioni di euro, con cui Invitalia acquisirà una quota del 50% dei diritti di voto della società. Successivamente, nel maggio del 2022, sarà lanciato un secondo aumento di capitale, sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni da Arcelor Mittal. L’operazione di ricapitalizzazione porterà Invitalia ad acquisire la partecipazione di maggioranza nel gruppo, pari al 60%, a fronte del 40% di ArcelorMittal. La governance dell’azienda sarà condivisa: ci saranno tre consiglieri a testa nel cda. All’inizio, lo Stato esprimerà il presidente della società e ArcelorMittal l’amministratore delegato. Con Invitalia al 60%, i ruoli si invertiranno: presidente al partner privato, amministratore delegato allo Stato.

A regime saranno salvaguardati tutti i 10.700 lavoratori dell’azienda. Invitalia ha anche garantito l’avvio del processo di decarbonizzazione dello stabilimento con l’attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno. L’obiettivo è quello di trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio “green” in Europa.

«Un’attenzione straordinaria – spiega il comunicato – verrà posta sul tema delle manutenzioni e della sicurezza dell’impianto. È prevista la creazione di una nuova linea di produzione esterna al perimetro aziendale (Dri) e di un forno elettrico interno allo stabilimento che a regime potrà realizzare 2,6 milioni di tonnellate annue di prodotto. Circa un terzo della produzione di acciaio -avverrà con emissioni ridotte, grazie all’utilizzo del forno elettrico e di una tecnologia d’avanguardia, il cosiddetto preridotto, in coerenza con le linee guida del Next Generation Ue. La riduzione dell’inquinamento realizzabile con questa tecnologia è infatti del 93% a regime per l’ossido di zolfo, del 90% per la diossina, del 78% per le polveri sottili e per la CO2. Oltre all’accordo di co-investimento per la gestione dell’ex Ilva è infatti prevista la costituzione di una nuova società a capitale pubblico dedicata allo sviluppo di questa nuova tecnologia». 

Insomma si va verso un futuro green: Il Governo ha accolto infatti la richiesta avanzata dalla Regione Puglia, dal Comune di Taranto e dalle altre rappresentanze territoriali di “accelerare la transizione verso le nuove produzioni verdi e di condividere gli interventi per il risanamento ambientale e il rilancio economico della città e del territorio tarantini“.

Si chiude così questo importante dossier che ha dato del filo da torcere al Governo. Dopo la privatizzazione nel 1995, con la cessione al gruppo Riva, la società è stata commissariata nel 2013 a seguito delle inchieste della magistratura sul disastro ambientale prodotto dalle emissioni inquinanti della fabbrica. Nel 2015 è entrata in amministrazione straordinaria e vi è rimasta sino al passaggio ad Arcelor Mittal. Il colosso dell’acciaio controllato dalla famiglia Mittal aveva messo sul piatto 1,8 miliardi di euro per l’Ilva, impegnandosi a spendere altri 1,2 miliardi tra il 2018-2023 per bonificare l’area e 1,3 miliardi per incrementare la produzione a 8 milioni di tonnellate all’anno (da 6 milioni). Poi però nel 2019 c’è stato il dietrofront in seguito alla cancellazione da parte del Parlamento dello scudo penale in grado di mettere al riparo i manager della multinazionale e i futuri compratori da procedimenti giudiziari legati all’inquinamento mentre si procedeva con la bonifica. 

di: Maria Lucia PANUCCI

FOTO: AGI

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