Il ruolo globale dell’euro è rimasto stabile dallo scorso anno, nell’ultimo rapporto la Banca centrale europea però mette in guardia dalle crepe che potrebbero emergere nel sistema monetario internazionale nel contesto di accresciuti attriti geopolitici.
L’indicatore complessivo sul ruolo internazionale dell’euro, secondo la Bce, è rimasto al di sopra del 19% lo scorso anno, in prossimità della media media che ha registrato dalla sua introduzione nel 1999. L’euro resta ampiamente la seconda valuta più rilevante a livello globale.
L’istituzione di Francoforte riporta che lo scorso anno la quota dall’euro nelle riserve valutarie estere globali è scesa di un punto percentuale al 20%, a prezzi costanti, un livello che l’ultima volta era registrato registrato nel 2020. Altri indicatori sul ruolo internazionale dell’euro hanno segnato limitati declini, tra questi l’ammontare di consistenze di depositi internazionali, la mole di prestiti internazionali e le regolazioni su scambi valutari internazionali, mentre è aumentata la quota di obbligazioni internazionali denominate in euro.
La Bce tuttavia nello studio ammette che «alcuni paesi stanno sempre più cercando di utilizzare unità, nel senso monetario, diverse dalle maggiori valute per gli scambi internazionali, così come alternative ai sistemi tradizionali di pagamento trans frontalieri».
Queste manovre potrebbero riflettere le tensioni tra le economie avanzate occidentali come quella Usa e Ue e le giurisdizioni come Russia, Cina o altri giganti globali, ormai comunemente chiamati Brics, a seguito delle sanzioni contro Mosca per la guerra in Ucraina e le delle tensioni con Pechino Sulla vicenda di Taiwan.
«Sebbene finora i dati non mostrino evidenze di cambiamenti sostanziali nell’uso delle valute internazionali, dobbiamo restare vigili a qualunque frattura che dovesse apparire», afferma il presidente della Bce Christine Lagarde.
Secondo il rapporto della Bce il ruolo internazionale dell’euro dovrebbe restare sostenuto prevalentemente da una unione economica e monetaria più completa, anche mediante progressi sull’unione dei mercati dei capitali nell’ambito del perseguimento di politiche di bilancio sane.
Intanto il presidente del ramo di vigilanza bancaria della Bce, la tedesca Claudia Buch, intervenendo a un simposio organizzato dalla Bundesbank, parla di come la vigilanza bancaria europea diventerà più agile, veloce e efficace ma anche più intrusiva.
«Le procedure Srep, Supervisory Review and Evaluation Process, con la riforma avviata diventeranno più mirate, efficienti, prevedibili e trasparenti. Il processo diventerà più breve. Dal 2026 in poi le decisioni verranno inviate alla maggior parte delle banche per la fine di settembre – ha spiegato – invece che a dicembre come attualmente avviene».
«Questo ridurrà il tempo che intercorre tra l’identificazione di carenze e le azioni di rimedio che ci si attende che le banche adottino. La vigilanza diventerà più intrusiva usando tutto l’armamentario e operando una escalation più rapidamente – ha avvertito Buch – quando i problemi non sono oggetto di rimedi».
«La riforma dello Srep, invece non significherà meno vigilanza o un approccio con un tocco più morbido – ha insistito il presidente del ramo vigilanza bancaria Bce – l’intenzione chiave della vigilanza, assicurare che le banche restino sicure e solide non cambierà. Ma diventerà più efficace. E questo è quantomai rilevante in un contesto in rapida evoluzione come quello in cui stiamo vivendo».
Mentre i rischi si evolvono anche la vigilanza si evolverà. Secondo la numero uno della vigilanza bancaria le evidenze sono chiare: quando le banche sono più solide e sicure sono meglio attrezzate per erogare finanziamenti all’economia reale.
«Banche che sono ben capitalizzata e resilienti sono meglio piazzate per competere nei mercati finanziari internazionali. Le banche che hanno strutture di governance organizzate al meglio hanno migliori capacità di valutazione dei rischi e possono proteggersi più efficacemente rispetto a eventi imprevisti, continuando a assicurare servizi agli utenti – ha concluso la Bunch – inclusi nei periodi di cambiamenti strutturali e di crisi».