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Economia

Il vero protagonista del Trump Trade? L’oro. Ecco perchè

Rossana Prezioso
19 Febbraio 2025
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Tanti i motivi che si nascondono dietro il rally dell’oro, non ultime le incertezze geopolitiche e il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca

Il bene rifugio per eccellenza, l’oro, è stato al centro dell’attenzione a causa di una serie di record che l’hanno portato sulla soglia dei 3mila dollari l’oncia. Tanti i motivi che si nascondono dietro questo andamento, non ultime le incertezze geopolitiche dettate dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Ma proprio il tycoon, chiamato in causa per il cosiddetto Trump trade sui mercati, sembra essere il fattore principale del rally dell’oro. A spiegare i motivi è  Gabriel Debach, market analyst di eToro.

il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca il mercato ha registrato diversi cambi di rotta anche se, secondo alcuni, il vero Trump trade si sta verificando sull’oro. Cosa sta succedendo al metallo giallo e quali sono i motivi alla base di queste osservazioni?

«Il prezzo dell’oro ha inanellato sette settimane consecutive di rialzi, aggiornando il proprio massimo storico per sette volte e superando i 2.900 dollari l’oncia. Dietro il rally dell’oro di inizio anno si intrecciano diversi fattori macroeconomici e geopolitici, che hanno spinto gli investitori verso il metallo prezioso come protezione dal rischio. Due elementi chiave sono stati il calo del dollaro e la discesa dei tassi reali, che dalla metà di gennaio hanno ridotto il costo-opportunità di detenere oro, rendendolo un asset ancora più attraente. Il movimento trova ulteriore slancio in una variabile strutturale di lungo periodo: il debito pubblico USA, che ha ormai superato i 36.000 miliardi di dollari. Con il crescente peso del debito federale e il rischio di deficit sempre più ampi, gli investitori istituzionali stanno aumentando l’esposizione agli asset reali, cercando protezione dal rischio sovrano e dall’erosione del valore delle valute. A queste dinamiche si aggiunge il fattore geopolitico, con il ritorno di Donald Trump, del protezionismo e delle tensioni commerciali che aumentano ulteriormente l’appeal dell’oro come bene rifugio. L’amministrazione Trump ha infatti introdotto dazi significativi su importazioni di acciaio e alluminio, generando incertezze nei mercati globali e spingendo gli investitori verso asset considerati sicuri, come l’oro. Inoltre, le politiche fiscali espansive e le tensioni commerciali hanno alimentato preoccupazioni inflazionistiche, aumentando l’attrattiva dell’oro come riserva di valore. Se il quadro internazionale dovesse deteriorarsi, con nuove dispute tariffarie o escalation nei conflitti già in corso, il metallo giallo potrebbe beneficiare di ulteriori flussi di acquisto».

Quali sono le previsioni nell’immediato? Questo trend è destinato a proseguire?

«Alcuni analisti prevedono che il prezzo dell’oro possa continuare a salire nel prossimo futuro. Ad esempio, Citigroup prevede un oro a 3.000 dollari entro tre mesi, evidenziando il ruolo chiave della geopolitica e delle tensioni tariffarie innescate dal ritorno di Donald Trump. Goldman Sachs, dal canto suo, ha recentemente rivisto al rialzo le sue previsioni, stimando che l’oro possa raggiungere i 3.100 dollari l’oncia entro la fine del 2025, con la possibilità di toccare i 3.300 dollari in caso di persistente incertezza politica ed economica. Infine UBS, attraverso l’analista Joni Teves, ha indicato che le attuali condizioni di mercato potrebbero spingere il prezzo dell’oro fino a 3.200 dollari l’oncia nel corso di quest’anno, prima di una possibile stabilizzazione».

Qual è il ruolo delle banche centrali in tutto questo? Quanto hanno influito e quanto potrebbero influire in futuro?

«Le banche centrali giocano un ruolo fondamentale nell’andamento del mercato dell’oro, sia direttamente, attraverso l’acquisto di riserve auree, sia indirettamente, con le loro politiche monetarie. Negli ultimi anni, e in particolare con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, si è osservato un forte aumento della domanda da parte di queste istituzioni, contribuendo in modo significativo alla crescita del prezzo del metallo prezioso. Nel 2024, ad esempio, le banche centrali hanno continuato a comprare a ritmi sostenuti: oltre 1.000 tonnellate per il terzo anno consecutivo. La corsa è stata particolarmente intensa nel quarto trimestre, con acquisti pari a 333 tonnellate, consolidando la percezione dell’oro come strumento di diversificazione valutaria e protezione contro il dollaro USA. Uno degli elementi chiave è stato l’accumulo di oro da parte di diverse banche centrali, in particolare la People’s Bank of China, che ha ripreso gli acquisti dopo una pausa, seguita da altre istituzioni che hanno intensificato le proprie riserve. Questo fenomeno si inserisce in una strategia più ampia di diversificazione rispetto al dollaro statunitense e di protezione contro le incertezze economiche e geopolitiche globali. Secondo alcune stime, l’impatto di questa domanda aggiuntiva potrebbe tradursi in un aumento del prezzo dell’oro fino al 9% entro la fine del 2025, sostenendo così il trend rialzista che si è consolidato negli ultimi mesi. Il ruolo delle banche centrali, quindi, non solo ha influito in modo significativo sulle recenti dinamiche del mercato aurifero, ma continuerà a rappresentare un fattore determinante nel medio e lungo termine, guidando la domanda e influenzando i movimenti di prezzo con le proprie strategie di accumulo e gestione delle riserve».

Wall Street e le varie borse europee si stanno muovendo all’unisono oppure le due sponde dell’oceano stanno avendo atteggiamenti differenti per quanto riguarda gli acquisti sull’oro?

«Le dinamiche degli investimenti in oro mostrano sia convergenze che divergenze tra Wall Street e le principali borse europee. Da un lato, l’oro è universalmente riconosciuto come un bene rifugio, e l’incertezza geopolitica globale ha riacceso l’interesse per questo metallo prezioso su entrambe le sponde dell’Atlantico. Dall’altro, le strategie di investimento e le reazioni dei mercati possono variare in base a fattori locali e alle specifiche condizioni economiche di ciascuna regione. A testimonianza del diverso approccio degli investitori, osserviamo come, negli Stati Uniti, i due principali ETF sull’oro, GLD e IAU, che insieme gestiscono quasi 118 miliardi di dollari, hanno mostrato segnali contrastanti: GLD (SPDR Gold Trust) ha registrato deflussi per 678 milioni di dollari, mentre IAU (iShares Gold Trust) ha raccolto appena 62 milioni. Numeri che stridono con il trend del 2024, quando nei primi due mesi GLD vedeva afflussi per 404 milioni e IAU per 45 milioni. Dall’altra parte dell’Atlantico, la musica cambia: a gennaio, gli ETF europei sull’oro hanno registrato afflussi per 3,4 miliardi di dollari, il dato mensile più alto dal marzo 2022. A guidare l’accumulo sono Regno Unito, Germania, Francia e Svizzera. Un elemento chiave che differenzia le due regioni è l’andamento del dollaro. Poiché l’oro è quotato in dollari, un rafforzamento della valuta statunitense può rendere l’oro più costoso per gli investitori non americani, influenzando la domanda in Europa. Al contrario, un dollaro più debole può incentivare gli acquisti di oro da parte degli investitori europei».

Oro e Bitcoin: quali sono i parallelismi possibili e quali i reciproci influssi?

«Oro e Bitcoin sono spesso considerati asset rifugio, utilizzati dagli investitori per proteggersi dall’inflazione e dalle incertezze economiche. Entrambi condividono caratteristiche come la scarsità: l’oro ha una disponibilità limitata in natura, mentre Bitcoin ha un’offerta massima di 21 milioni di unità. Questa limitatezza contribuisce a preservarli nel tempo come riserve di valore. Tuttavia, le dinamiche di prezzo di oro e Bitcoin non sempre coincidono. Ad esempio, nel 2020, mentre l’oro ha registrato un aumento significativo in risposta alle politiche monetarie espansive della Federal Reserve, Bitcoin ha mostrato una reazione più ritardata. Questo indica che, sebbene possano reagire a stimoli economici simili, lo fanno con tempistiche e intensità diverse. La correlazione tra i due asset è variabile. Nel 2020, la correlazione tra Bitcoin e oro è aumentata, suggerendo che gli investitori iniziavano a percepire Bitcoin come una riserva di valore simile all’oro. Tuttavia, questa correlazione non è costante nel tempo e può variare in base alle condizioni di mercato».

Nel 2024, la crescente narrativa dell’oro digitale ha portato alcuni investitori a diversificare tra i due asset, ma, conclude Debach, la maggiore volatilità delle criptovalute ha rafforzato l’idea che l’oro fisico e gli ETF restino strumenti chiave per stabilizzare i portafogli in fasi di incertezza.

FOTO: shutterstock
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