
Con gli Nft e la blockchain si ribalta il concetto di proprietà e autenticità dei beni digitali
Diventa sempre più attuale il tema dell’autenticità dei prodotti online. In tempi recenti il discorso a tal proposito è ruotato intorno agli Nft, certificati su blockchain che promettono di creare e all’occorrenza modificare il concetto stesso di autenticità (uno degli ultimi esempi qui). E in questo contesto c’è chi li considera una rivoluzione e chi, invece, una crypto-bolla.
Gli Nft, non-fungible token, sono unità di valore digitale non fungibile. Rappresentano quindi un certificato la cui attendibilità non è data da un ente terzo ma derivata dalla blockchain, una catena di informazioni che registra le transazioni e indica a chi appartiene un determinato bene. In tal senso gli Nft non sono molto diversi da un Bitcoin o da un Ether. Ma, mentre questi ultimi hanno caratteristiche distintive e sono interscambiabili, gli Nft sono sì trasferibili ma non intercambiabili. Sono unici e in quanto tali individuano qualcosa di unico, come un’opera d’arte, e possono avere un proprietario (o un gruppo di proprietari) per volta.
Gli Nft si propongono di superare il problema della riproducibilità digitale. Sul web, infatti, il duplicato ad esempio di un audio Mp3 o di un’immagine in Jpg è identico e ha lo stesso valore dell’originale, nullo. Il diritto d’autore non è certo estraneo alla problematica dei contenuti digitali. Dall’altra parte, il certificato su blockchain assicura la titolarità dell’opera, in questo modo gif, meme, video e persino tweet divento unici e quindi vendibili.
Gli Nft si accingono a diventare strumenti per monetizzare qualcosa che oggi non ha alcun valore: tramite la vendita, in primo luogo, ma anche grazie a incassi futuri, dilazionati nel tempo. Ad esempio l’autore potrebbe incassare una percentuale del prezzo di vendita, ogni volta che l’Nft cambia proprietario. Ciò sarebbe reso possibile grazie agli smart contract, contratti su blockchain le cui clausole possono scattare in automatico al verificarsi di alcune condizioni prestabilite.
Il concetto di proprietà reso da un Ntf resta comunque più labile rispetto al possesso di un oggetto materiale. Chi acquisisce un Nft, infatti, non avrà accesso esclusivo all’opera perché un contenuto originale potrà sempre essere replicato e pubblicato online senza differenze apprezzabili. Di fatto, quindi, non è garantita l’esclusività del possesso quanto la sua autenticità, o l’autentico verificabile (the verifiably real thing) come definito da Ethereum, la piattaforma su cui girano gli Ntf.
Quando si è cominciato a parlare di Nft? Quando, nel 2017, prese piede un gioco chiamato CryptoKitties. Gli utenti compravano, scambiavano e collezionavano su blockchain gattini la cui razza era certificata proprio dagli Nft. Da questa prima esperienza il settore è cresciuto in modo esponenziale. A supportare questa crescita alcuni big del settore tecnologico. Peter Thiel, cofondatore di Paypal, ha investito in OpenSea, il più grande mercato per lo scambio di Nft; sulla piattaforma concorrente, Nifty Gateway, hanno invece investito i gemelli Wiklevos. Elon Musk ha pubblicato e messo in vendita l’Nft di una canzone, il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, ha venduto il suo primo tweet per 2,9 milioni di dollari (leggi qui). Mark Cuban, proprietario della franchigia Nba dei Dallas Mavericks, aprirà una galleria d’arte digitale, esponendo Nft. La star di Youtube Logan Paul ha venduto per 5 milioni di dollari un’immagine che lo ritrae in versione anime.
Dal 2017, anno in cui il mercato degli Nft valeva circa 42 milioni di dollari, nel solo 2020 il settore ha mosso 250 miliardi di dollari, secondo quando riportato da Nonfungible.com e L’Atelier BNP Paribas. Stando alle previsioni, nel 2021 dovrebbe raggiungere un valore di 400 milioni in meno di tre mesi.
Per i sostenitori dell’Nft questo rappresenta più di un certificato e nel futuro potrebbe essere applicato alle opere fisiche, e non più solo digitali, ma anche ad oggetti comuni come auto e case, o persino essere una garanzia per ottenere un prestito. Gli Nft potrebbero, inoltre, permettere di frazionare la titolarità di un’opera: una sorta di certificato diviso in quote che consente di vantare diritti su una parte di bene, incassando in proporzione da un’eventuale vendita o da altri sistemi di remunerazione. A tal proposito, Ethereum immagina la costituzione di Dao (Decentralised autonomous organisation, Organizzazioni autonome decentralizzate) dedicate alla gestione degli asset.
L’obiettivo ultimo degli Nft sarebbe quindi la democratizzazione dell’arte e, più in generale, una gestione decentralizzate e disintermediata degli scambi di beni non fungibili.
di: Alessia MALCAUS
FOTO: ANSA
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