
È indispensabile per far funzionare i nostri dispositivi elettronici, ma ha un costo umano esorbitante
Le sue sfumature di azzurro incantano, e i rapporti chimici e fisici che innesca con la restante Materia sono necessari per farci utilizzare tanti dispositivi elettronici, dai tablet agli smartphone. Ma dietro all’algida bellezza del cobalto si nasconde un mondo di schiavitù, miseria e avvelenamento. Di cui fanno le spese soprattutto i paesi più poveri dei paesi dell’Africa.
Il cobalto viene utilizzato per produrre la maggior parte delle batterie che alimentano apparecchi elettronici come smartphone e computer, ma anche automobili. Da questo metallo viene prodotta una polvere blu parzialmente radioattiva, quindi già di per sé un elemento da maneggiare con cura. Ma nei paesi in via di sviluppo, dove i controlli sulla sicurezza sono molto più blandi, viene estratto da persone, molto (troppo) spesso bambini, che lavorano in condizioni di sfruttamento. Tra i paesi di maggiore esportazione, tra l’altro, vi è la Repubblica Democratica del Congo, dove la presenza di giacimenti praticamente ovunque (perfino sotto ai pavimenti delle case!) ha spesso scatenato conflitti etnici e politici per il monopolio di questa preziosa risorsa. Più della metà del cobalto venduto nel mondo è estratto in Congo, una terra ricchissima, almeno in termini di materie prime e di diamanti. Peccato però per la sua povertà, visto che in Congo 7 persone su 10 vivono con meno di un euro al giorno.
Ma non è l’unico lato oscuro del cobalto. Per la sua estrazione, come rilevato da diverso ong tra cui Amnesty International e Still I Rise, vengono spesso utilizzati bambini: oltre 40mila quelli che lavorano nelle miniere di cobalto, scavando per dodici ore al giorno la roccia a mani nude e trasportando sacchi di pietre spesso più pesanti di loro. Tutto questo, per appena uno o due dollari a giorno, a discrezione e simpatia dei sorveglianti che valutano purezza e qualità del carico. Un furto dell’infanzia intollerabile, in un Paese in cui un bambino su cinque non riesce a superare il traguardo dei cinque anni d’età. Ed è solo la punta di un ice berg di sfruttamento. I traumi e i problemi sanitari di questi bambini sono atroci: da quelli respiratori causati dalla polvere radioattiva, fino a febbre e tifo che derivano dallo stare nell’acqua sporca a pulire il cobalto; la stessa acqua che spesso sono costretti a bere. Per non parlare degli abusi subiti dai minatori più grandi: altri bambini vengono sfruttati per vendere acqua o cibo ai minatori, ma spesso diventano loro stessi merce di scambio; attraverso la prostituzione minorile, che porta a malattie sessualmente trasmissibili e a aborti indesiderati.
Ma ci sono delle soluzioni. La più ovvia, certo, è comprare meno dispositivi. Certo è molto invitante l’ultimo modello di smartphone (magari con le stesse funzioni del precedente ma con testimonial diverso) ma dovremmo chiederci: ci serve veramente? Perché la ragione di un tale sfruttamento è anche la domanda esagerata per la produzione di dispositivi elettronici: si stima che la richiesta possa quintuplicare entro il 2030 e aumentare di oltre 15 volte entro il 2050. Tutto, per correre dietro all’industria del tech. Se proprio abbiamo bisogno (anche come professionisti) di ricorrere a dispositivi aggiornati, un’altra soluzione è il ricondizionato: un sistema che permette di riutilizzare vecchie risorse senza causare l’estrazione di nuovi minerali. Infine, è fondamentale che i consumatori facciano sentire la propria voce: con mail bombing, ma anche con campagne di sensibilizzazione dei brand e con petizioni che arrivino alle orecchie dell’industria.
A Natale, più che mai, bisogna guardare a questi oggetti e chiedersi: valgono la vita di un bambino?