
L’audizione del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha confermato che da parte dell’Italia ci sono molte riserve sulle proposte sul tavolo
Ancora avvolte nell’incertezza le riunioni di giovedì e venerdì dei ministri finanziari europei sulla riforma delle regole di bilancio: come riporta Radiocor, una nuova versione dei testi legislativi è stata fatta circolare dalla presidenza spagnola dell’Ecofin, guidata dalla ministra Nadia Calvino la cui quotazione per diventare presidente della Banca europea degli investimenti viene data da molti in rafforzamento (contro gli altri due candidati, la danese Margrethe Vestager e l’italiano Daniele Franco).
La novità è che verrebbe stabilita una nuova soglia per classificare specificamente i paesi con debito più alto del 90% del pil, che dovrebbero assicurarne una riduzione di almeno l’1% mentre chi sta al di sotto di quella soglia di limiterebbe alla metà. Ma le cifre sono tutte ballerine e, in ogni caso, i documenti sono pieni di XXX al posto delle cifre sulla riduzione di debito e deficit.
Perché la sostanza della trattativa tra i ministri riguarderà proprio la misura degli aggiustamenti richieste di anno in anno pur in una visione pluriennale dell’operazione conti pubblici. L’audizione del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha confermato che da parte dell’Italia ci sono molte riserve sulle proposte sul tavolo: il governo è contrario alla moltiplicazione di nuove restrizioni sovrapposte ai vincoli di spesa e debito.
Tra queste l’obiettivo di mantenere il deficit/pil ben al di sotto del 3% (la Germania vorrebbe all’1,5%) in condizioni economiche normali, per avere lo spazio di manovra sufficiente per politiche controcicliche in caso di choc avversi senza dover necessariamente superare la barriera del 3%.
Non è sfuggito il fatto che Giorgetti abbia alluso a una (quasi) possibilità di veto da parte dell’Italia: ricordando che sono richieste l’unanimità per le regole sulle correzioni dei disavanzi eccessivi e la maggioranza qualificata per le regole sulla prevenzione dei disavanzi eccessivi, il ministro dell’economia conclude che sull’intero pacchetto “di fatto è richiesta l’unanimità degli stati non potendosi immaginare” la revisione delle prime senza la revisione delle seconde. Dei tre testi sul tavolo, il regolamento del cosiddetto “braccio preventivo” è in codecisione con il Parlamento e richiede, appunto, la maggioranza qualificata dei voti in Consiglio (che si raggiunge con il 55% degli stati– con un minimo di 15 – che rappresentino almeno il 65% della popolazione); il regolamento del “braccio correttivo” e la direttiva sui requisiti del quadro di bilancio sotto emendamenti devono essere votati all’unanimità in consultazione con il Parlamento europeo (il primo anche della Bce).
Il contesto del negoziato ha subito un cambiamento non irrilevante che riguarda la Germania: con la bocciatura del trasferimento di 60 miliardi di euro a un fondo per il clima da parte della Corte costituzionale di Karlsruhe, il governo tedesco è alla disperata ricerca di una soluzione per il bilancio 2024: mancano almeno 17 miliardi. Per il 2023 scatterà il freno al debito (limite al deficit annuale allo 0,35% del pil), ma per fare la stessa cosa anche per l’anno prossimo occorre l’accordo della coalizione, ora più che mai divisa con il ministro delle finanze Christian Lindner, liberale, contrario a rimettere mano al principio costituzionale del freno al debito che peraltro richiederebbe una maggioranza di due terzi al Bundestag, ben superiore ai voti della coalizione Spd-Verdi-liberali.
La sentenza di Karlsruhe ha piombato il negoziato europeo sull’aumento del bilancio Ue e rafforzato paradossalmente la posizione di Lindner nel negoziato sul Patto di stabilità. Anche se logica vorrebbe che una Germania alle prese con la recessione e la camicia di forza del freno al debito procedesse con maggiore cautela sulla moltiplicazione dei vincoli di bilancio per tutti, non pare questa la strada intrapresa, almeno alla vigilia del negoziato decisivo.
Come rifersice Radiocor, il quadro della riforma delle regole Ue che si presenta attualmente è questo: una volta definito il percorso di riduzione dell’indebitamento per quattro o sette anni con impegni di riforma e investimento, al termine del periodo il rapporto debito/pil sia inferiore al livello iniziale e si riduca a una media annua minima stabilita. La Germania preme che questa media sia dell’1% per i paesi con debito/pil sotto sopra il 90% (stando alle ultime stime Ue se per ipotesi si prendesse per buono il 2024 si tratterebbe di sei paesi nell’area euro: Belgio, Grecia, Francia, Spagna, Italia e Portogallo. Con un deficit/pil sopra il 3% (nel 2024 otto paesi: Belgio, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Malta, Slovacchia e Slovenia) resta la regola dello 0,5% di aggiustamento strutturale primario minimo annuo.
Su quest’ultimo punto è tuttora aperta la base di riferimento: la Germania sostiene che debba essere il saldo di bilancio corretto per il ciclo (saldo strutturale che è coerente con il prodotto potenziale); la Francia sostiene che la base di riferimento deve essere il saldo primario strutturale (al netto del ciclo ed esclusi gli interessi sul debito).
Per quanto riguarda il “tetto” del deficit/pil, la Germania nella proposta spagnola include una salvaguardia di resilienza sul deficit (il termine resilienza fa così il suo ingresso nella “governance” sul quadro di bilancio Ue): una volta che il debito si trova in un percorso “plausibilmente in diminuzione o a livelli prudenti” va assicurato “un margine comune di garanzia sotto il 3% del pil”. La Germania preme perché sia fissato all’1,5%. Sono queste aggiunte “quantitative” contro le quali si sono posizionati diversi paesi, tra cui l’Italia e il resto del “fronte del sud”.
Anche a Parigi l’accumulo di troppi vincoli “sovrapposti”, come li chiama Giorgetti, viene visto con timore (va tenuto presente che secondo le stime Ue il debito/pil francese non si schioderà nel 2023 e 2024 dal 109,6-109,5% e nel 2025 aumenterà al 110% trovandosi così più vicino al debito/pil italiano (140,9%) che non a quello tedesco (62,7%). E alla Commissione si ritiene che il “benchmark” intermedio sul deficit presto diventerebbe il vero parametro di riferimento sul quale valutare i paesi e questo sarebbe da considerare un rischio. Non a caso varie volte il commissario Paolo Gentiloni ha indicato come non sia saggio distaccarsi troppo dalla proposta originaria di Bruxelles.
Ci sono spazi per gli investimenti e la flessibilità per le riforme: peseranno nella valutazione del percorso di aggiustamento, ma solo l’aumento della spesa per la difesa viene esplicitamente riconosciuta come un “fattore specifico rilevante” nel caso in cui debba essere aperta una procedura per deficit eccessivo (a “sconto” dell’aumento della spesa). Insieme a tutti gli altri fattori rilevanti: cioè gli investimenti e riforme che assicurano la sostenibilità del debito a lungo termine, affrontano le priorità europee (transizioni verde e digitale, sociale, sicurezza e difesa). “Il loro impatto deve essere considerato così come il loro contributo alla fornitura di beni pubblici europei per assicurare una valutazione appropriata della sostenibilità di bilancio”.
Tale flessibilità prevede oltre alla possibilità di estendere il periodo di iniziale aggiustamento da 4 a 7 anni due possibilità transitorie: gli impegni del Pnrr sono considerati sufficienti a estendere il periodo di aggiustamento; i progetti finanziati con i prestiti del Pnrr nel 2025 e nel 2026 così come il co-finanziamento nazionale di fondi Ue sarà tenuto in conto se uno stato chiederà di essere esonerato dalla regola per cui lo sforzo di bilancio deve essere lineare (deve progredire di anno in anno) e proporzionale allo sforzo totale previsto nell’intero periodo di aggiustamento dei conti. Non ci sono “sconti” preventivi di qualche specifica posta (a parte di fatto le spese per la difesa), come ha chiesto l’Italia.
Infine, come riferisce Radiocor, altro punto rilevante, la cosiddetta “clausola di fuga” dalle regole di bilancio: si tratta della possibilità di sospenderle in caso di emergenze economiche. È stata usata per la pandemia: si tratta della sospensione delle prescrizioni di aggiustamento dei conti pubblici decisa all’inizio del 2020 e valida fino al 31 dicembre di quest’anno. Scatta se un evento insolito fuori dal controllo di uno o più stati membri ha un impatto rilevante sulla posizione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, o l’area dell’euro o l’Unione nel suo complesso si trovano ad affrontare una grave recessione economica.
La novità sta nel fatto che uno stato può vedersi riconosciuto il diritto di deviare dal percorso stabilito della spesa pubblica netta (il nuovo parametro di riferimento per la gestione delle finanze pubbliche e per determinare la necessità di una correzione) ”se circostanze eccezionali al di fuori del controllo degli stati membri possono avere un forte impatto sulle finanze pubbliche dello stato membro interessato, a condizione che non metta in pericolo la sostenibilità fiscale a medio termine”. È il riconoscimento che choc avversi possono avere un effetto più forte in alcuni stati e non in altri.
(foto ANSA)