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Economia

Sostenibilità, ONU: “I governi investono poco nel green”

Alessia Malcaus
15 Marzo 2021
Sostenibilità, ONU: “I governi investono poco nel green”
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Secondo il rapporto delle Nazionali Unite, dei 14,6 mila miliardi di dollari preventivati, solo 386 saranno destinati alla sostenibilità. Secondo gli esperti, la pandemia dovrebbe far riflettere sul futuro del […]

Una panoramica dall'alto mostra lo smog presente su Roma il 15 dicembre 2020. A causa dei livelli alti di inquinamento dell'aria, il Comune invita a non prendere l’auto e a limitare l'uso del riscaldamento domestico. ANSA/FABIO FRUSTACI

Secondo il rapporto delle Nazionali Unite, dei 14,6 mila miliardi di dollari preventivati, solo 386 saranno destinati alla sostenibilità. Secondo gli esperti, la pandemia dovrebbe far riflettere sul futuro del mondo

Transizione verde: nonostante i piani, sono ancora pochi gli investimenti dei governi verso un futuro più green. A denunciarlo è un recente rapporto delle Nazioni Unite. In particolare lo studio analizza le politiche fiscali introdotte in seguito alla diffusione del Covid-19 in 50 diversi Paesi e 3.500 protocolli. Dei 14,6 mila miliardi di dollari previsti come spessa mondiale, solo 386 miliardi di dollari verranno destinati ad attività sostenibili.

Secondo il rapporto dell’ONU, solo 66 miliardi di dollari verranno investiti in energie verdi e solo 86,1 miliardi sono stati annunciati per il trasporto che comprende veicoli elettrici e investimenti nei trasporti pubblici. Gli altri investimenti comprendono: 35,2 miliardi per l’aumento dell’efficienza energetica degli edifici; 56,3 miliardi dovrebbero andare nel capitale naturale, ovvero rigenerazione degli ecosistemi e riforestazione; appena 28,9 miliardi finiranno nelle tecnologie per le energie rinnovabili e per la decarbonizzazione di settori come aviazione, produzione della plastica, agricoltura.

Il rapporto è basato su una ricerca dell’Oxford Economic Recovery Project e del Global Recovery Observatory con la collaborazione del Fondo monetario internazionale e del Green Fiscal Policy Network. L’obiettivo è stato quello di individuare possibili risposte a questioni di fondamentale importanza. Tra queste quali strategie possono incrementare la ripresa economica ma anche proteggere l’ambiente e che tipo di investimenti vengono fatti per combattere il cambiamento climatico, la perdita di natura e l’inquinamento.

«L’umanità si trova di fronte a una crisi pandemica economica ed ecologica. Non possiamo perdere su nessun fronte e i governi hanno una possibilità unica di mettere i loro Paesi nella giusta traiettoria, dando la priorità a opportunità economiche che riducano la povertà e garantiscano la salute al Pianeta nello stesso tempo» – ha dichiarato Inger Anderson, direttore esecutivo dell’Unep.

Considerazioni di questo tipo si rendono necessarie a seguito della pandemia che ha colpito il mondo. Molte ricerche, infatti, hanno individuato un forte grado di correlazione tra le zone più colpite dal virus e le aree maggiormente inquinate. Ricostruire il mondo dopo il coronavirus, ora, è possibile solo smettendo di misurare il progresso in termini di valore di mercato per le merci e i servizi prodotti e consumati e cominciare a guardare alla natura come qualcosa di altrettanto importante. «Considerare la natura e l’economia sullo stesso piano ci permetterebbe di capire quanto le nostre attività dipendano e influenzino l’ambiente e come potremmo lo stesso raggiungere la prosperità senza necessariamente distruggere quello che ci circonda» – ha commentato Elliot Harris, economista delle Nazioni Unite.

Anche l’Italia ha bisogno di riflettere a riguardo. «Chi sperava che la miopia si risolvesse sta sbagliando. Il nostro Recovery plan parla infatti di rivoluzione verde, ma non evidenzia misure attive, che possano condurre a una transizione efficace. Un grande assente è per esempio l’agricoltura. Mancano le spese per la sicurezza alimentare ed economica e quelle relative alla protezione della biodiversità, proprio in un momento in cui le ultime ricerche scientifiche evidenziano che un terzo delle emissioni dipende dal cibo»– afferma Martina Comparelli, portavoce di Fridays for future. Riguardo alla Tav, prevista dal Recovery Plan, commenta – «Il 60 per cento delle emissioni sono su gomma e per tragitti entro i 50 chilometri. Sarebbe meglio dunque intervenire su questi trasporti, non sull’alta velocità. In particolare non si tratta di incentivare l’acquisto di automobili elettriche, ma di fornire servizi pubblici a tutti cittadini, compresi quelli che non possono acquistare un auto».

Proprio Fridays for future ha redatto, insieme a 25 scienziati ed esperti, un rapporto chiamato Ritorno al futuro che sottolinea la necessità di effettuare una transizione energetica e una riconversione dell’economia. Ma non solo, deve essere garantita la giustizia sociale per i lavoratori e il benessere di tutta la popolazione. «Chiaramente non c’è stato abbastanza ascolto della campagna da parte dei politici nonostante sia stata consegnata al Governo e quindi la riporteremo in piazza come rivendicazione principale dello sciopero del 19 marzo, il prossimo climate strike, lo sciopero globale che ha portato nelle occasioni precedenti centinaia di migliaia di ragazzi in piazza. Il motto, che richiama il messaggio della pubblicazione delle Nazioni Unite,  è: basta false promesse» – conclude Comparelli.

Sempre in merito alla correlazione tra inquinamento e pandemia, un altro gruppo di scienziati, tra cui molti epidemiologi, medici per l’ambiente, tossicologi, ingegneri, ha stilato un documento intitolato Cambiamenti climatici e pandemie: cambiare prima che sia troppo tardi. «Già il nome piano di ripresa merita una osservazione: fa pensare che partiremo da dove eravamo prima. Sarebbe meglio invece chiamarlo piano di cambiamento e resilienza, per sottolineare che si sta prendendo un’altra direzione. Dobbiamo infatti fare scelte integrali, che siano in grado in un colpo solo di fornire benefici per la salute, l’ambiente, gli animali, un approccio richiesto anche internazionalmente. I virus infatti arrivano perché rompiamo gli argini con la natura» – afferma Paolo Pileri, docente pianificazione urbanistica e ambientale Politecnico Milano.

di: Alessia MALCAUS

FOTO: ANSA/FABIO FRUSTACI

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