
Dall’Imu agli affitti, tutto quello che c’è da sapere sulle spese per l’abitazione
L’Agenzia delle Entrate insieme al Mef ha pubblicato l’analisi biennale Gli immobili in Italia, da cui è emerso che il 75,2% delle famiglie italiane è proprietario della casa in cui vive: un trend culturale che si lega al fatto che il mattone nel Bel Paese è sempre stato considerato un investimento sicuro, se non il più sicuro di tutti. Il patrimonio abitativo complessivo raggiunge i 6 miliardi di euro, ed è uno dei più tassati in assoluto.
La tassa principale sull’abitazione di proprietà è sicuramente l’Imu, che dal 2020 raccoglie anche la Tasi, e si versa in due rate: una in scadenza il 16 giugno e una il 16 dicembre. L’imposta non è dovuta per la prima casa, ad eccezione che essa non faccia parte della classificazione in ville, castelli, palazzi e in generale non sia un patrimonio artistico o storico. Inoltre, non si paga l’Imu in caso di casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di un provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Ma come si calcola l’Imu? La base imponibile è data dalla rendita catastale dell’immobile, rivalutata del 5%. A questo valore si moltiplicano alcuni coefficienti: 160% per le abitazioni di tipo signorile, civile, economico, popolari, ultrapopolari, rurali, villini, ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici, alloggi tipici dei luoghi (categoria catastale da A/1 a A/11, escluso A/10). Invece 80% per uffici o studi privati (categoria A10), 140% per collegi e convitti, case di cura e ospedali non a scopo di lucro, prigioni e riformatori, uffici pubblici, scuole e laboratori, biblioteche, musei, gallerie, accademie, circoli (categoria catastale da b1 a b8); 55%, infine, per negozi e botteghe (categoria catastale c1).
Si può pagare l’Imu con il modello F24 o tramite bollettino di conto corrente postale.
È possibile avere una riduzione sull’Imu in caso l’immobile sia concesso in uso gratuito a parenti in linea retta entro il primo grado, cioè nel caso in cui un genitore cede la casa al figlio o similare: in questo caso il pagamento è al 50%.
Se si è proprietari di una casa che viene data in affitto, si può optare per un regime facoltativo che prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef: la cedolare secca. In questo caso il proprietario rinuncia alla facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone di affitto anche se è previsto dal contratto. Può essere applicato al massimo a quattro appartamenti. La cedolare secca segue le scadenze dell’Irpef ma cambia l’acconto: se l’importo è inferiore a 257,52 euro il pagamento va fatto in unica soluzione; se invece è superiore, la prima rata va versata entro il 30 giugno e la seconda entro il 30 novembre. Sono previste due aliquote: 21% sui contratti d’affitto a canone libero di immobili locati a fini abitativi e 10% per i contratti d’affitto con canone concordato tra le parti.
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA / CIRO FUSCO
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