
Secondo alcune previsioni le commodities, in particolare i metalli industriali, si assesteranno al rialzo nei prossimi tre anni
La spinta inflazionistica che sta caratterizzando il prezzo delle commodities potrebbe non essere un problema contingente e secondo alcuni indicatori “continuerà nei prossimi tre anni“. Lo conferma anche Gianclaudio Torlizzi, direttore generale della società di consulenza finanziaria T-Commodity che, a colloquio con Agi, inquadra la questione in termini più ampi.
Nella sua ricostruzione Torlizzi spiega come in principio l’alzamento dei prezzi è dipeso “dagli stimoli fiscali e monetari implementati con lo scoppio della pandemia“. Da marzo 2020 ad oggi “sono stati mossi oltre 30 mila miliardi di dollari a livello mondiale“; una mole che ha causato anche un cambio nelle abitudini di consumo.
«Il lockdown – spiega – ha dato una spinta determinante all’acquisto di beni durevoli, con una forte componente di materie prime». Parliamo di elettrodomestici, smartphone, computer e tablet; tutti prodotti “che hanno molte parti metalliche e sono pieni di semiconduttori” e che hanno inevitabilmente alzato i prezzi di queste materie prime. Proprio sui metalli la fase rialzista “durerà almeno altrei tre anni e potrebbe accelerare nel prossimo futuro“.
Bisogna poi contestualizzare il problema in termini di politiche climatiche. «In Europa il Green deal ha contribuito al rialzo dei dei metalli, in due maniere: si alzano i prezzi di quelli che servono per produrre batterie, quindi il litio, il rame, il nichel e il cobalto; ma si alzano i prezzi anche dei metalli che per essere prodotti hanno bisogno di molta energia, come l’alluminio o lo zinco, e i prezzi aumentano con l’aumento dei costi dell’energia».
In termini macroeconomici bisogna poi riflettere sui rapporti commerciali con la Cina. L’idea di un “assestamento al rialzo dei prezzi” sta attraendo gli investitori che, per tutelarsi dall’inflazione, cominciano a “investire in materie prime“.
I metalli industriali in particolar modo trovano uno dei driver di riferimento proprio nella Cina che “ne consuma il 50% a livello mondiale“. Le restrizioni pandemiche frenano ancora oggi il potenziale cinese ma una volta che la situazione sarà sbloccata anche in Asia potremmo trovarci “agli albori di una nuova fase rialzista, forse più forte della prima“.
Per invertire la rotta l’Occidente dovrebbe “rivedere i propri piani climatici“, anche se la “totale riapertura dell’economia cinese” continua a fare paura.
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
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