
Nel nostro paese creano ricchezza ma restano esclusi dal tessuto sociale
In Italia gli immigrati lavorano in condizioni peggiori, nonostante siano più sovraistruiti e sottoccupati. Eppure, senza di loro, diversi settori non riuscirebbero a tenere dietro la richiesta del mercato. Infatti i lavoratori migranti contribuiscono in misura rilevante all’economia del Paese, con un saldo positivo di 1,3 miliardi di euro per le casse dello Stato. Tutto questo però restando esclusi da molte prestazioni sociali, mentre sono vittima di un tasso di povertà quattro volte superiore a quello degli italiani. Tutto questo è riportato nella nuova edizione del Dossier Statistico Immigrazione, realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici ’S. Pio V”. Tra i trend in crescita spicca il luogo e la ragione di provenienza; buona parte dei nuovi migranti infatti sono ‘vittime del clima’, cioè si spostano da zone dove il riscaldamento climatico e i disastri naturali sempre più frequenti minano sicurezza alimentare e opportunità economiche. Niente di nuovo sotto il sole: secondo la Banca Mondiale questa tipologia conterà 220 milioni di persone nel 2050.
In Italia, gli stranieri incidono più tra i lavoratori (sono il 10%, oltre 2,2 milioni di occupati su un totale nazionale di oltre 22,5 milioni nel 2021) che tra la popolazione nel suo complesso (8,8%, cinque milioni su 59). Ma quasi il 64% svolge professioni non qualificate o operaie e la quota di sovraistruiti è del 32,8%. Per fare un esempio: i soggetti in questione magari hanno conseguito un’istruzione superiore, se non addirittura universitaria, nel loro paese; ma sono costretti da un glass cealing razziale a compiere mansioni non specializzate. Eppure pagano le tasse, consumano e versano contributi: nel 2020 hanno pagato 5,3 miliardi di euro di Irpef, 4,3 miliardi di Iva, 1,4 miliardi di Tasi e Tari, 2,2 miliardi di accise su benzina e tabacchi, 145 milioni di euro per le pratiche di acquisizione di cittadinanza e di rilascio o rinnovo dei permessi di soggiorno e 15,6 miliardi per i contributi previdenziali. Ne deriva che il saldo netto tra uscite economiche (28,9 miliardi) ed entrate (30,2 miliardi) legate all’immigrazione è di circa 1,3 miliardi di euro a vantaggio delle casse dello Stato.
I lavoratori in questione oltre il 15% degli occupati nel settore degli alberghi e della ristorazione, il 15,5% in quello edile, il 18% in agricoltura e più del 64% nei servizi alle famiglie, dove quasi i due terzi degli addetti sono stranieri. Che questi settori non possano fare a meno di questi lavoratori si è visto con la pandemia, quando il blocco delle frontiere ha costretto nei paesi di origine migliaia di stagionali, creando un ‘buco’ di occupati nelle campagne. «Sebbene contribuiscano in maniera irrinunciabile al benessere collettivo, ne restano sempre più esclusi» sottolinea Idos. Nel 2021 gli stranieri in condizione di povertà assoluta sono saliti, in Italia, a oltre un milione e 600mila (100mila in più rispetto al 2020), il 32,4% di tutti quelli residenti in Italia, una quota oltre 4 volte superiore a quella degli italiani (7,2%). E in tutto ciò i migranti accedono molto meno alle prestazioni di assistenza sociale (mense, trasporti, case popolari, misure di sostegno al reddito ecc.), da cui vengono esclusi con l’introduzione di requisiti arbitrari, da parte di Comuni e istituzioni. «Vincoli – sottolinea il report – che hanno limitato al 12% la quota di stranieri tra i beneficiari del Reddito di cittadinanza».