
I soci di Credit Suisse contestano il salvataggio nell’ultima assemblea. La banca centrale si difende: “l’alternativa era il default”
E’ maretta in casa Credit Suisse che oggi affronta la rabbia degli azionisti nella sua ultima assemblea generale prima della fusione con Ubs orchestrata dal governo svizzero. Gli azionisti di entrambi gli istituti non hanno potuto votare sull’accordo vista la legsilazione di emergenza disposta dall’esecutivo di Credit Suisse e quindi oggi l’assise è chiamata a votare sul bilancio della banca, ma non sul salvataggio.
L’assemblea è in corso nel palazzetto delll’Hallenstadion di Zurigo, all’esterno del quale si è radunata una folla di manifestanti per protestare contro il crollo della banca. Fondi e piccoli azionisti attaccano la gestione della crisi. Norges Bank, il fondo sovrano norvegese, ha dichiarato che voterà contro la rielezione del presidente Axel Lehmann e di altri 6 amministratori, in una pubblica manifestazione di protesta. Il proxy advisor americano ISS aveva già precedentemente attaccato il vertice di Credit Suisse per “mancanza di supervisione e scarsa capacità di amministrazione“.
Dal canto suo la banca centrale svizzera difende il proprio operato e le modalità del salvataggio. «Senza l’acquisizione mediata dal governo è molto, molto probabile che si sarebbe verificata una crisi finanziaria in Svizzera e nel mondo. Il Credit Suisse sarebbe quindi fallito», ha dichiarato il vicepresidente della Banca nazionale svizzera Martin Schlegel all’emittente SRF, in un’intervista trasmessa ieri.
Intanto anche la Procura ha avviato una indagine sul salvataggio.
FOTO: EPA/ALESSANDRO DELLA BELLA