
Secondo il rapporto Ismea, presentato oggi, la produzione agricola si fa sorpassare dalla Germania. Meglio l’industria alimentare. Buone notizie soprattutto dal caro-prezzi
L’Italia è retrocessa in terza posizione nella graduatoria UE della produzione agricola, dopo Francia e Germania (prima era seconda dopo la Francia). Ma, soprattutto, dal 2021 ha passato alla Francia il primato del valore aggiunto, mantenuto quasi ininterrottamente dal nostro Paese nel corso del decennio. Emerge dal rapporto Ismea sull’agroalimentare italiano, presentato oggi a Roma.
Sul fronte della produzione dell’industria alimentare, l’Italia nel periodo 2019-2022 è andata bene, meglio rispetto all’UE e all’Eurozona, ma nel 2023 registra una battuta d’arresto, con una flessione nei primi quattro mesi dell’anno nei volumi (-2,1%).
Malgrado le migliori performance degli ultimi anni, l’industria alimentare italiana rimane al terzo posto nella graduatoria dei paesi UE, dove l’Italia copre circa il 12% del valore aggiunto totale, dopo la Germania e la Francia, ma sopra alla Spagna.
Lato industria alimentare, l’Italia è leader incontrastata nell’industria pastaria, con più del 73% del fatturato dell’UE, ma ha un ruolo di rilievo anche nel vino (28%), nei prodotti da forno e biscotti (21%).
Queste differenze tra agricoltura e industria alimentare si hanno perché nel decennio 2012-2022 l’industria alimentare ha mostrato un trend di relativa crescita reale, mentre l’agricoltura ha vissuto molte annate sfavorevoli, soprattutto a causa dell’andamento climatico.
Nel 2022, riepiloga Ismea, il valore aggiunto dell’agroalimentare italiano è stato pari a 64 miliardi di euro: 37,4 miliardi il settore agricolo e 26,7 miliardi l’industria alimentare. Il comparto vale il 3,7% del valore aggiunto dell’intera economia.
A livello di mix produttivo, spiega Ismea, in Italia la zootecnia riveste un ruolo minore rispetto ai principali partner; tra le colture mediterranee spicca l’incidenza del vino, in particolare il vino di qualità (12,9%), per il quale è superiore anche rispetto alla Francia (10,1%); anche ortaggi e frutta hanno un peso rilevante, rispettivamente 12,6% e 7,8%, inferiore solo a quello che hanno in Spagna (entrambi al 13,3%). Il peso dell’Italia sulla produzione dell’UE è pari complessivamente al 14%, ma sale al 37% per il vino, dove è seconda solo alla Francia (43%), e al 33% per l’olio d’oliva, dove segue la Spagna con il 48%.
Nella frutta l’Italia copre il 18% della produzione dell’UE e fronteggia la forte concorrenza della Spagna, che ne copre il 28%.
Oltre agli effetti del clima, spiega Ismea, pesano sull’agricoltura italiana alcune debolezze strutturali, quali la scarsa presenza di giovani capi azienda (solo il 9%, contro il 12% della media UE) e il correlato basso livello di formazione di chi guida la maggioranza delle aziende agricole.
Sempre dal repporto Ismea, emerge che, nonostante il settore agroalimentare sia stato tra i settori più colpiti dall’inflazione e sia uno dei principali centri di trasmissione degli aumenti dei prezzi, l’aumento dei costi dei prodotti alimentari in Italia è risultato inferiore a quello medio registrato nell’UE e in Germania e Spagna.
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Nonostante la svolta restrittiva delle politiche monetarie delle banche centrali e la dinamica salariale moderata, l’inflazione in Italia rimane infatti elevata (+5,3% su settembre 2022 secondo le stime preliminari dell‘Istat, in lieve flessione su base mensile) ed emergono segnali di difficoltà del sistema economico, in uno scenario geopolitico dove si moltiplicano i fattori di instabilità e incertezza.
L’agroalimentare è stato tra i settori più colpiti a causa del suo ruolo nell’economia e della sua dipendenza dall’estero per prodotti energetici, materie prime e beni intermedi che lo rendono particolarmente vulnerabile alle tensioni su mercati internazionali. Più nel dettaglio, nel 2022 il contributo dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari all’inflazione è stato significativo.
La crescita media dei prezzi (misurata dall’indice Istat per i prodotti alimentari, bevande e tabacco, armonizzato per i confronti europei) ha raggiunto l’8,1%, ma è stata più contenuta di quella media dell’UE (10,2%) e dell’Eurozona (9%). Meglio di noi ha fatto la Francia, che grazie al suo maggior grado di autosufficienza, alimentare ed energetica, ha subito di meno gli aumenti dei prezzi internazionali ed è riuscita a contenere gli incrementi degli alimentari a un +6%.
Nella prima metà del 2023, nonostante il raffreddamento dei listini internazionali dell’energia e delle materie prime, l’inflazione per i prodotti alimentari nel carrello della spesa ha continuato a salire, raggiungendo in Italia il suo picco a marzo (+12%), ma evidenziando, anche in questo caso, una dinamica inferiore a quella registrata a livello comunitario.
L’effetto combinato dell’inflazione e della bassa crescita dei redditi, spiega Ismea, ha eroso il potere d’acquisto e il tasso di risparmio delle famiglie, con forti squilibri sul piano distributivo: il tasso d’inflazione subìto dalle famiglie più fragili è risultato più alto rispetto a quello delle famiglie benestanti (12,1% vs 7,2%), per effetto della diversa incidenza e della diversa composizione della spesa alimentare.
L’impatto sugli acquisti alimentari domestici è stato significativo, con volumi in riduzione (-3,7% nel 2022 secondo Istat), scontrini in aumento (+5%) e una ricomposizione del carrello guidata dalle esigenze di risparmio e dagli effetti dell’aumento della spesa incomprimibile per l’abitazione sul budget disponibile per l’alimentazione.
Tuttavia, pur in presenza dei consueti effetti asimmetrici dell’inflazione, l’analisi della trasmissione dei prezzi lungo la filiera agroalimentare effettuata da Ismea, “non ha evidenziato fenomeni speculativi su larga scala a carico di nessuna delle fasi. La filiera è stata in grado di mantenere sotto controllo le variazioni dei prezzi, rallentando e diluendo nel tempo gli incrementi a valle”.
(foto IMAGOECONOMICA)