
“Con un’inflazione prevista al 5,6% per il 2023 dalla BCE è difficile prevede un cambio prima di giungo 2024”
L’epoca dei tassi alti e più a lungo potrebbe essere già iniziata, tanto che più che di picco dei tassi si potrebbe parlare di plateau. A suggerirlo è Alessandro Bergonzi, Financial markets content specialist di Investing.com.
I tassi della Federal Reserve sono ai massimi da 22 anni, quelli della BCE hanno toccato il massimo storico. Partendo da questo dato è possibile fare un’analisi degli impatti che finora hanno avuto le decisioni delle banche centrali sull’economia in generale?
«Il compito fondamentale, presente nello statuto di tutte le banche centrali, è quello di combattere l’inflazione. Attualmente su questo fronte siamo a livelli record e stiamo vivendo una situazione straordinaria dal momento che per anni non si è quasi sentito parlare del fenomeno dell’inflazione, soprattutto in queste sue manifestazioni così forti. Siamo anche in un ambito differente rispetto al famoso “Whatever we take” di Mario Draghi anche per quanto riguarda gli interlocutori. Cambia anche il quadro dal momento che, dopo la pandemia, si è registrato un rimbalzo dell’economia. Ma in Europa c’è stata un’inflazione dal lato dell’offerta con un aumento dei prezzi dell’energia che ha trainato in gran parte la crescita dell’inflazione in Europa. Il quadro offerto dai dati di Bankitalia nella relazione annuale dell’anno scorso parla di un’inflazione al consumo in Italia ha toccato i massimi dagli anni Ottanta con una media dell’8,7% nel 2022 con picchi negli ultimi tre mesi del 2022 del 12%. In questo caso il regolatore, ovvero la BCE, ha deciso di intervenire. I rialzi hanno avuto l’effetto di rallentare l’inflazione dai picchi superiore ai 10%, scendendo a settembre dei quest’anno a 4,3% ma allo stesso tempo l’economia ha iniziato a soffrire. Il target del 2% rimane ancora lontano visto che è ora siamo oltre il doppio del target fissato. Il risultato è la stagflazione ovvero un’economia ferma mentre l’inflazione ancora va avanti. L’esempio arriva dall’indice PMI, l’indice che delinea lo stato di salute economica di un paese, e che è in contrazione da tempo. In particolare in Eurozona il PMI manifatturiero a settembre a 43.4 dai 43.5 punti di agosto restando ben lontano dai 50 punti, cioè dallo spartiacque che separa la crescita dalla contrazione. Ed è il 15esimo mese consecutivo di ribassi. Basterebbero questi due valori, un’inflazione che, seppur ridotta continua a restare oltre il 4% ed un indice PMI manifatturiero in contrazione per comprendere la situazione in Eurozona. Negli Stati Uniti, invece, più che dagli energetici è dovuta alla corsa dell’economia. La Federal Reserve si è trovata a iniziare le sue strette a marzo del 2022 per riequilibrare un’economia troppo surriscaldata ed un mercato del lavoro che finora ha ceduto solo in parte. Ma nonostante ciò ma Jerome Powell, governatore della Fed, ha dichiarato di voler osservare dati macro costanti prima di invertire la rotta. Per quanto riguarda l’inflazione, a settembre siamo al di sotto del 4% (3,7%) ma comunque al di sotto delle attese. Powell recentemente ha detto che una crescita economica troppo forte potrebbe rendere necessaria un’altra stretta della politica monetaria. Per quanto riguarda gli effetti sui tassi di interessi, con l’aumento del costo del denaro, per le aziende è diventato più difficile finanziarsi e quindi fare investimenti. Bankitalia, nella rilevazione di luglio mostra un calo del 4% dei prestiti alle imprese. Con l’aumento dei tassi di interesse c’è, però, un vantaggio per i risparmiatori, anche se non tutte le banche si sono adeguate. Gli istituti finanziari hanno aumentato la remunerazione sui depositi. Vantaggio per i risparmiatori ma in prospettiva può pesare sui bilanci degli istituti. Altro vantaggio per i risparmiatori, ma non per i governi: con l’aumento del costo del denaro sono aumentati i rendimenti dei titoli di stato. I buoni del tesoro statunitense continuano a segnare valori record sulla scadenza decennale. Per l’Italia, secondo quanto dichiarato dal ministro Giorgetti, i rialzi della BCE costeranno al nostro paese 14 miliardi in più nel 2024».
I tassi ai massimi della BCE hanno abbattuto il settore immobiliare facendo crollare la domanda mentre chi aveva deciso di accendere un mutuo si trova in difficoltà. Quali sono le prospettive per il settore?
«I dati arrivano dalle rilevazioni di Facile.it secondo cui con l’ultimo aumento dei tassi della BCE pari a 0,25 punti base una rata del mutuo variabile è aumentata del 66% rispetto a inizio del 2022 cioè 303 euro in più. Infatti, considerando una rata base iniziale di 456 euro si arriverebbe, dopo gli ultimi rialzi, agli attuali 759 euro. Sono quindi crollate le domande a tasso variabile con l’aumento del tasso fisso. Quest’ultimo, però, era vantaggioso nel momento in cui il costo del denaro era basso. Secondo gli ultimi dati statistici notarili il calo delle compravendite di abitazioni nel primo semestre del 2023 è stato dell’8,7%. Anche le domande di mutui sono calate del 30% il che fa pensare che siano letteralmente cambiate le abitudini, soprattutto in Italia, dove il mattone è un investimento importante».
“Tassi alti e per lungo tempo” è la nuova realtà che ci attende?
«Per la prossima riunione di novembre, anche secondo i dati del monitor di Investing.com sui tassi Fed, il mercato si aspetta al 99% che la banca centrale USA manterrà i tassi invariati nella forchetta tra il 5,25% e il 5,50%. Per la BCE, invece, sono sempre di più i banchieri che si dimostrano preoccupati per la situazione dell’economia, ben peggiore di quella statunitense. Perciò, in realtà più che di raggiungimento del picco si potrebbe parlare di plateau perché visto quanto dichiarato dagli analisti non vedremo tagli dei tassi prima di giungo del 2024. La Fed pur essendo quella che si è mossa per prima e che si avvicinerà di più al target del 2%, sarà però quella che farà l’ultimo passo. Il più difficile visto che la forza dell’economia USA potrebbe convincere la Fed a rialzare nuovamente il costo del denaro. A differenza della BCE che, come detto, è più spaventata dal rallentamento economico, se non dalla stagflazione che si prospetta e davanti alla quale non sembra esserci via d’uscita, almeno guardando i dati macro di PMI ed esportazione, entrambi in contrazione».
Resta una sola certezza, secondo Bergonzi: con un’inflazione prevista al 5,6% per il 2023 dalla BCE è difficile prevede un cambio prima di giungo 2024. Il tutto senza considerare la variabile dei dati macro.