Nella fase di ripresa dallo choc del 2020, l’Italia è l’economia che, tra le quattro maggiori dell’Ue, è cresciuta a un ritmo più elevato, recuperando il livello del Pil di fine 2019 già nel terzo trimestre del 2021. Alla crescita si è associato il buon andamento del mercato del lavoro. E’ quanto rileva il rapporto annuale dell’Istat.
Nel confronto con l’ultimo trimestre del 2019, a fine del 2023 il livello del Pil era superiore del 4,2% in Italia, del 2,9% in Spagna, dell’1,9% in Francia e dello 0,1% in Germania.
In Italia il Pil nel 2023 è aumentato dello 0,9%. La crescita è stata dello 0,7% in Francia e del 2,5%% in Spagna, mentre la Germania ha registrato un calo (-0,3%). Secondo le stime preliminari, nel primo trimestre del 2024 la crescita congiunturale dell’economia è stata dello 0,7% in Spagna, lo 0,3% in Italia e lo 0,2% sia in Francia che in Germania. Al netto degli effetti di calendario, la crescita acquisita per il 2024 sarebbe dell’1,6% in Spagna, dello 0,5% in Francia e Italia e del -0,2% in Germania.
Nel 2023, rileva l’Istat, gli occupati sono aumentati in media del 2,1% con un +481mila unità, seguendo una crescita del 2,4% nel 2022. L’aumento dell’occupazione è dovuto alla componente a tempo indeterminato e, in misura minore, agli indipendenti, mentre è diminuita l’occupazione a tempo determinato.
Nel 2023, inoltre, in Italia è proseguito il lieve miglioramento del quadro di finanza pubblica. Il debito delle amministrazioni pubbliche è diminuito dal 140,5 al 137,3% del Pil e l’indebitamento netto si è ridotto di 13,8 miliardi, dall’8,6 al 7,4% del Pil, come risultato di una spesa per interessi più contenuta e di un minor disavanzo primario, principalmente grazie alla dinamica sostenuta delle entrate e al ridimensionamento delle misure adottate nel 2022 per arginare la crisi energetica.
L’occupazione è aumentata negli ultimi anni ma il potere d’acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti è diminuito negli ultimi 10 anni del 4,5%. Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, si legge, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica.
Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania.
L’Istat sottolinea nel suo rapporto annuale come il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Tra il 2014 e il 2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023. Per gli operai l’incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023. Nel 2023 l’8,2% dei dipendenti era in povertà assoluta a fronte del 5,1% degli indipendenti.
Tra i dati forniti dall’istituto di statistica quelli che fotografano il Paese da un punto di vista socio-economico: sono oltre tre milioni i giovani in meno in 20 anni. L’Italia registra nel 2023 appena 10,33 milioni di persone tra i 18 e i 34 anni con un calo del 22,9% rispetto al 2022 quando erano 13,39 milioni.
Il rapporto annuale evidenzia che rispetto al picco del 1994, quando rientravano nella fascia i ragazzi del baby boom, il calo è di quasi cinque milioni facendo registrare un -32,3%. Specularmente negli ultimi 30 anni c’è stato un incremento delle persone di 65 anni e più anziane da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 un +54,4%.
Si associa il dato sui matrimoni che avvengono in età sempre più avanzata. A dimostrazione che gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l’età adulta. Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia con quasi otto punti in più rispetto al 2002 (59,7%). Questi valori sono intorno al 75% in Campania e Puglia. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione. Nel 2022, l’età media al primo matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.
«In Italia si sono progressivamente diffuse nuove modalità di formazione della famiglia. Nel 2022-2023, coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e monogenitori non vedovi rappresentano il 39,7% del totale dei nuclei». Lo sottolinea il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli presentando il Rapporto annuale dell’Istituto e affermando che nel 2002-2003, queste famiglie erano il 21,9%.
«Si tratta, nel complesso – spiega – di oltre 18 milioni e mezzo di individui, quasi un terzo della popolazione. Sono soprattutto i bambini e i ragazzi fino ai 24 anni, che sempre più spesso vivono con genitori non coniugati o con madri single, a essere interessati dalle trasformazioni dei modelli familiari.
Nello stesso periodo, tra gli adulti tra i 25 e i 64 anni è raddoppiata la quota di quanti vivono senza partner, dal 10,9% al 22,1% del totale, ed è cresciuta dal 5,4 al 14,6% la quota di quanti vivono con un partner senza essere coniugati, o in famiglie sposate in cui almeno uno dei due coniugi proviene da un precedente matrimonio».
Anche le persone anziane sono state investite da nuovi modi di fare famiglia: sono aumentate quelle che vivono da sole, a partire dai 65 anni, non soltanto come conseguenza della vedovanza e, tra i 65-74enni, sono raddoppiati quanti sperimentano libere unioni e secondi matrimoni.