La cattiva alimentazione, si sa, fa male alla salute. ma gli effetti collaterali di malattie ad essa collegate colpiscono anche il portafoglio. Secondo un rapporto della Fondazione Aletheia presentato al ministero della Salute, diete e modelli nutrizionali errati costano a ciascun italiano 289 euro all’anno.
Diete e modelli nutrizionali sbagliati aumentano i costi sanitari e il rischio dell’insorgere di malattie. La spesa sanitaria legata alla cattiva alimentazione e a cibi super-processati pesa ogni anno il 3% sul Pil europeo.
Nonostante l’Italia presenti valori migliori per quanto riguarda il tasso d’obesità, nel 2023 l’eccesso di peso ha interessato il 46,4% della popolazione maggiorenne. In crescita anche l’incidenza del diabete.
Tra le malattie correlate agli stili nutrizionali sbagliati spicca l’obesità causata dall’assunzione costante di prodotti ultra-processati e dall’abuso di additivi chimici. In confronto ad altri Paesi europei e del mondo, l’Italia presenta un tasso d’obesità inferiore anche se, evidenzia il rapporto, nel 2023 l’eccesso di peso ha interessato il 46,3% della popolazione maggiorenne.
Negli ultimi vent’anni il numero di persone in sovrappeso in Italia è cresciuto del 7,1%, mentre è balzato del 36,4% quello relativo all’obesità.
A questo si aggiunge anche un aumento dell’incidenza di diabete che passa dal 6,3% nel 2021 al 6,6% nel 2022, con una crescita negli ultimi venti anni del 65%.
Secondo uno studio dell’Italian Barometer Diabetes Report, Dati sul diabete in Italia, una fotografia su una pandemia complessa e in continua evoluzione, in Italia sono circa 3,9 milioni le persone che hanno dichiarato di avere il diabete di tipo 2 – quello non di origine autoimmune, di tipo 1 – nel 2022.
Nel 2040 si potrebbe arrivare al 10%, se continuasse il trend osservato combinato con il rilevante impatto della dinamica demografica dei prossimi vent’anni. Ad avere il rischio più elevato di ammalarsi sono gli anziani (gli over 74 hanno un rischio di quasi otto volte maggiore rispetto ai 45-54enni), i maschi (+40% di rischio rispetto alle donne) e i residenti nel Meridione (+50% rispetto ai residenti al Nord).
In Italia, l’incremento del sovrappeso legato a stili nutrizionali errati rappresenta quasi un decimo (9%)della spesa sanitaria nazionale e pesa quasi 300 euro a persona.
Per contrastare il fenomeno, secondo gli esperti la migliore medicina è rappresentata dalla Dieta Mediterranea, iscritta nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
«La Dieta Mediterranea ha una serie di effetti favorevoli sulla composizione corporea, lo stato infiammatorio cronico caratteristico dell’invecchiamento ed anche su tutta una serie di parametri cognitivi», ha spiegato Claudio Franceschi, professore emerito di immunologia all’Università di Bologna.
Un secondo argine contro l’insorgenza di patologie legate all’alimentazione poggia sulla riduzione di cibi ultra-processati. Il rapporto stima che un taglio del 20% delle calorie assunte da prodotti ad alta concentrazione di zuccheri, sale e grassi saturi potrebbe prevenire in Italia 688mila malattie croniche entro il 2050.
A diminuire sarebbero di conseguenza anche i costi per la sanità: 278 milioni in meno all’anno, per un totale di circa 7 miliardi da qui al 2050.
Per Riccardo Fargione, direttore del think thank Aletheia: «Assistiamo spesso a disinformazione e strumentalizzazioni che spingono verso modelli di consumo dannosi per i cittadini. Non possiamo permetterlo in un Paese, come l’Italia, che vanta una cultura ed un patrimonio enogastronomico di assoluta eccellenza».
La ricerca analizza inoltre la garanzia del controllo di qualità dei prodotti assunti, sia in termini di composizione nutrizionale sia sotto l’aspetto della sicurezza alimentare.
I prodotti italiani risultano infatti i più attenzionati dalle autorità europee con oltre 11,3mila campioni analizzati. A seguire quelli francesi (circa 10mila) e tedeschi (poco meno di 8,7 mila). Nel confronto circa il 10,3% dei campioni di origine extra Ue ha registrato livelli di contaminazione da fitofarmaci superiori ai limiti di legge, ben 5 volte superiore a quelli di origine Ue (2%).