Lo scenario demografico attuale, caratterizzato dall’aumento dell’età media della popolazione, dal calo della fecondità e dalla riduzione della popolazione in età lavorativa, non compensati dall’immigrazione, sta determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti. E’ quanto riporta l’annuale Rapporto Inps presentato oggi.
Il processo di invecchiamento, comune agli Stati membri dell’Unione europea, influenza negativamente la sostenibilità economica di quasi tutti i sistemi previdenziali, soprattutto, spiega il Rapporto, laddove l’incidenza della spesa pensionistica rispetto al prodotto interno lordo è elevata.
Nel 2021, l’ultimo anno in cui sono disponibili dati confrontabili, la spesa previdenziale italiana si è attestata al 16,3% del Pil, un livello inferiore solo a quello della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%.
La spesa pensionistica italiana è particolarmente elevata per due motivi principali. Innanzitutto, sottoliena il Rapporto, l’età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro, nonostante un’età legale a 67 anni, tra le più alte in Europa.
Oltre a questo, le pensioni sono, in media, generose ed infatti il tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultima retribuzione percepita prima del pensionamento è tra i più elevati in UE, quasi 15 punti percentuali sopra la media europea.
Dal Rapporto annuale Inps il confronto con il 2019 fa registrare un aumento lordo dei salari monetari del 6,8% a fronte di un aumento dei prezzi attorno al 15-17%. Arriva il commento di Unione nazionale consumatori.
«E’ il problema irrisolto del nostro Paese. Da oltre 30 anni, da quando nel 1992 è stata eliminata la scala mobile post referendum, le retribuzioni e le pensioni sono rimaste al palo e non sono state adeguate all’aumento del costo della vita, con la conseguenza che l’Italia da allora cresce poco, dato che i consumi rappresentano il 60% del Pil», afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
«Bene fa il Governo a riconfermare il taglio del cuneo fiscale, ma non basta. Se pensiamo che nel 2023 per via di un’inflazione media pari al 5,7% una famiglia ha speso mediamente 1251 euro in più rispetto al 2022, un single tra 35 e 64 anni ne ha spesi 945, ci rendiamo conto che avere 100 euro in più busta paga, ossia quanto secondo i dati Inps di oggi corrisponde ad un aumento della retribuzione imponibile lorda, sia del tutto insufficiente», conclude Dona.