Negli ultimi anni il lavoro in Italia ha subito una costante metamorfosi che lo ha portato, purtroppo, a scendere i gradini della sempre più lunga scala di fattori determinanti per avere un buon tenore di vita. Se, infatti, fino a qualche tempo fa un contratto a tempo indeterminato era il sogno di chiunque aspirasse ad una vita economicamente stabile, oggi, complice l’erosione del potere d’acquisto e il rialzo della pressione inflattiva, anche un lavoro fisso non mette al riparo dal pericolo di povertà.
Questo perché sebbene cresca l’occupazione, non cresce parallelamente la qualità del lavoro. I numeri di febbraio sul mercato del lavoro in Italia pubblicati dall’Istat mettevano in evidenza un panorama precario e frammentato. In aumento i contratti a tempo determinato e con una durata sempre più breve con la conseguenza che circa 3 milioni di lavoratori sono costretti a fare due o più lavori per riuscire a raggiungere una somma degna di uno stipendio base.
La conferma arriva sempre dai dati Istat: il 20% dei lavoratori nel 2022 aveva ricoperto più di un incarico (nel 2021 era del 18%) a conferma non solo di una diffusa instabilità ma anche di una sempre più ampia precarietà. Allo stesso tempo la retribuzione lorda annua per posizione lavorativa pur in aumento a 12.550 euro (+3,3%) deve lamentare un calo sul primo decile (cioè il 10% delle posizioni lavorative meno retribuite) a 778 euro annui.
Altri dati, più recenti, arrivano direttamente dall’Eurostat. Numeri alla mano nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% rispetto alla media nazionale sono stati il 9% contro l’8,7% del 2023. Una situazione più grave rispetto al 3,7% della Germania e al 2,2% della Finlandia. Tra i più a rischio nel panorama italiano sarebbero i lavoratori indipendenti: 17,2% con redditi inferiori al 60% della media, percentuale che nel 2023 non andava oltre il 15,8% nel 2023. Quasi stabile, ma sempre in aumento, il quadro dei dipendenti: 8,4%, rispetto all’8,3% 2023. Per quanto riguarda il lavoro part time la percentuale del 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%.
Sale invece la percentuale dei lavoratori di almeno 18 anni sempre a rischio povertà, nonostante possano vantare un’occupazione per metà dell’anno: in questo caso, a prescindere dal contratto, si è passati dal 9,9% del 2023 al 10,2% del 2024. Paradossalmente il divario più ampio di lavoratori a rischio povertà si ha nella fascia dei laureati. Infatti se è del 18,2% tra chi ha fatto la scuola dell’obbligo e solo del 4,5% tra i laureati, non si può fare a meno di notare che il dato 2023 dei primi era del 17,7% mentre per i secondi l’anno scorso non si andava oltre il 3,6%.
Ma il problema, però, è anche più ampio e riguarda il rischio povertà in generale che investe le categorie sociali più deboli. Le stesse che devono rinunciare a spese mediche, visite e controlli o, nei casi più gravi, alle spese minime. Sempre secondo i dati Eurostat sarebbero cinque milioni le persone che proprio sulle spese minime incontrano difficoltà. E gli anziani sono la fascia più a rischio sebbene il tasso ufficiale di povertà nel nostro paese in questi ultimi 12 mesi sia rimasto fermo al 18,9% della popolazione e risulti in calo anche quello riguardante la deprivazione materiale (ovvero in difficoltà per alcune delle spese riguardanti riscaldamento, cibo adeguato e vestiario minimo) che dal 9,8% del 2023 è sceso all’8,5%.