Che la Fed non avesse intenzione di intervenire sui tassi di interesse era una cosa che i mercati si attendevano. Ciò che però non ci si aspettava era la reazione veemente di un presidente USA che, sebbene contrario da tempo alle politiche della banca centrale, ha espresso il suo disappunto con termini particolarmente forti. Ma procediamo con ordine.
Come detto la Federal Reserve ha lasciato invariato il tasso chiave (da dicembre fermo tra il 4,25% e il 4,5%) anche se prevede possibili tagli, per la precisione due, entro quest’anno. Tuttavia le sue previsioni parlano di un’inflazione che rimarrà elevata sullo sfondo di una crescita economica inferiore a quanto finora previsto.
Le proiezioni economiche hanno evidenziato ulteriori pressioni stagflazionistiche e un aumento del prodotto interno lordo dell′1,4% nel 2025 e un’inflazione che raggiungerà il 3%. Previsioni che, rispetto all’ultimo aggiornamento di marzo hanno registrato una diminuzione di 0,3 punti percentuali sia per il PIL che per il PCE core. Lieve revisione, anche sulla disoccupazione il cui livello si attesterebbe intorno al 4,5%, ovvero 0,1 punti percentuali in più rispetto a marzo.
«L’incertezza sulle prospettive economiche è diminuita, ma rimane elevata. Il Comitato è attento ai rischi per entrambe le parti del suo duplice mandato», ha affermato il Comitato della banca centrale. Durante la consueta conferenza stampa il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha suggerito che è necessario attendere ulteriori chiarimenti. «Per il momento, siamo ben posizionati per attendere di saperne di più sul probabile andamento dell’economia prima di prendere in considerazione eventuali modifiche alle nostre politiche».
Parole che hanno portato il presidente Trump a definire il numero uno della Fed, Jerome Powell uno “stupido” per non aver allentato la politica monetaria. Trump ha affermato che il tasso sui fondi federali dovrebbe essere inferiore di almeno 2 punti percentuali. Una richiesta pressante che nasce anche dai costi altissimi che il governo sta pagando sul suo debito monster di 36 trilioni di dollari. La riluttanza dei membri della banca, invece, nasce proprio dai timori che le politiche sui dazi volute da Trump possano fomentare nuovi picchi di inflazione nei prossimi mesi. Lo stesso Powell, infatti, ha dichiarato che l’economia statunitense non ha ancora sperimentato pienamente l’impatto dei dazi sui prezzi per i consumatori.
«Ci vuole del tempo prima che i dazi si facciano strada lungo la catena di distribuzione fino al consumatore finale. Un buon esempio di ciò sarebbe il caso di beni venduti oggi dai rivenditori al dettaglio che potrebbero essere stati importati diversi mesi fa, prima dell’imposizione dei dazi. Quindi stiamo iniziando a vederne alcuni effetti e prevediamo che se ne vedranno di più nei prossimi mesi».