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Brexit, 6 settimane all’uscita. E manca ancora l’accordo

Micaela Ferraro
26 Novembre 2020
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Il no deal si fa sempre più vicino e riguarda soprattutto pariteticità, governance e pesca «Oggi non si può dire se arriveremo a un accordo». Le parole della presidente della […]

Il no deal si fa sempre più vicino e riguarda soprattutto pariteticità, governance e pesca

«Oggi non si può dire se arriveremo a un accordo». Le parole della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, suonano profetiche a 6 settimane dalla scadenza del periodo di transizione post Brexit, quando, a quattro anni e mezzo dal voto che ha spinto il Regno Unito fuori dall’Ue, quest’uscita verrà ufficializzata.

Accordo o non accordo? Non è chiaro, ma sembra dipendere da tre temi spartiacque, come li definisce la stessa Von der Leyen: la pariteticità, la governance e la pesca. «Abbiamo poco tempo, faremo il possibile e saremo disposti a essere creativi – ha ribadito la presidente – ma non siamo disposti a mettere in discussione l’integrità del mercato unico».

Dal suo canto, Boris Johnson sostiene l’ipotesi dell’accordo minimalista in stile canadese, con tariffe o quote zero sui beni scambiati. Un’opzione che fa storcere il naso all’Unione Europea perché le grandi dimensioni del Regno Unito e la vicinanza al continente richiedono maggiori garanzie per una concorrenza leale rispetto a quelle che sono previste nell’accordo con il Canada.

Se non si raggiungerà un accordo entro la data ufficiale di uscita, Ue e Regno Unito dovranno attenersi alle condizioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, con un grosso aumento nei tassi per l’importazione da ambedue le parti: 10% per le automobili e 90% per le carni.

Uno dei settori che verrebbe più sconvolto dalla mancanza di un accordo è quello dei trasporti: i trasportatori non avrebbero più il diritto di operare nei rispettivi territori con grosse conseguenze per i camion comunitari, senza contare che rimarrebbe dubbiosa la questione del riconoscimento delle patenti di guida e degli standard professionali. Anche il trasporto aereo rischia di subire contraccolpi perché il Regno Unito avrebbe bisogno di accordi bilaterali con Paesi all’interno e all’esterno dell’Europa e questo potrebbe portare a una limitazione dei servizi.

Il rischio più grande è rappresentato dal mancato riconoscimento delle rispettive qualifiche professionali tra le due parti in causa. Pertanto le imprese dell’uno e dell’altro territorio potrebbero trovarsi messe in dubbio a causa della mancanza dei requisiti piuttosto severi che verrebbero messi in campo.

Senza un accordo, le imprese del Regno Unito non avranno più diritto a servizi passaporto nei paesi Ue per ciò che concerne i servizi finanziari, con grosso disagio di consulenti e compagnie assicurative, e la pesca potrebbe portare i pescherecci britannici a pescare più di quanto si potrebbe fare con un accordo, inoltre sia un Paese sia l’altro avrebbero bisogno di permessi ufficiali per operare nei territori dell’altro.

È chiaro che le ragioni politiche per un compromesso ci sono, soprattutto nel post-pandemia con migliaia di posti di lavoro a rischio nel Regno Unito che potrebbe rendere difficile per il Governo giustificare un’uscita senza accordo. Inoltre c’è da considerare che molti di questi posti di lavoro a rischio si trovano in zone che hanno votato conservatore per la prima volta alle ultime elezioni e ora si trovano a fronteggiare le conseguenze di quel voto con un aumento di incertezza per le proprie aziende. «Per la stragrande maggioranza del mondo – ha evidenziato il Financial Times – la Brexit è uno spettacolo secondario. Diventa insignificante rispetto ai problemi economici e sociali causati dal Covid-19, ma per il Regno Unito e per alcune parti dell’Europa, la possibilità di una rottura alla fine di quest’anno aggiunge un’altra dimensione alle incertezze future».

Il Financial Times evidenzia due possibili soluzioni: da un lato, gli accordi commerciali britannici potrebbero tornare ai livelli a cui erano nel 1992 prima della nascita del mercato unico europeo, così si potrebbe raggiungere un accordo simile a quello Ue-Canada. L’altra possibilità è che l’accordo di libero scambio non si verifichi e i settori critici dell’economia britannica si trovino ad affrontare tariffe dannose per l’esportazione verso un mercato più grande di quello del Regno Unito, con grande scoraggiamento di alcuni settori, agricoltura ed automotive soprattutto, che si vedrebbero imporre tariffe troppo elevate per sostenere gli scambi.

«Affinché un accordo venga raggiunto – ha spiegato David Henig, direttore britannico del Centro europeo per l’economia politica internazionale – la Gran Bretagna dovrà accettare di non rivendicare tutto il pesce che nuota nelle sue acque territoriali, sottoscrivere impegni a non sovvenzionare le società britanniche o ridurre le norme sociali e ambientali dell’Ue e revocare le minacce di annullare il diritto internazionale sul protocollo dell’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso Brexit. Ma non è per niente chiaro che i parlamentari comprendano che questa sarebbe una vittoria».

di: Micaela FERRARO

FOTO: AGI

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