In una lista di 30 mila conti fatta filtrare a un quotidiano tedesco molte persone sono poco raccomandabili. Tra queste trafficanti di uomini, faccendieri, autocrati. La banca respinge le accuse
Credit Suisse torna nell’occhio del ciclone dopo che nel 2021 ha registrato pesanti perdite nell’ambito del fallimento del fondo statunitense Archegos ed ha perso molti clienti dopo il crollo della società di servizi finanziari Greensill. Ora la banca svizzera è finita nuovamente nel mirino per una maxi inchiesta derivante da una fuga di dati relativa a 30 mila conti correnti del gruppo, di cui la maggior parte intestati a persone poco raccomandabili.
Secondo un’inchiesta condotta dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), consorzio di 47 media internazionali che include testate come Le Monde, The Guardian, Miami Herald e da noi anche La Stampa, avrebbe gestito almeno 18 mila conti che fanno riferimento ad attività criminali, violazioni dei diritti umani o soggetti sottoposti a sanzioni. Le informazioni fanno riferimento a conti e depositi di importo complessivo superiore a 100 miliardi di dollari, ospitati dall’istituto tra gli anni Quaranta e la fine degli anni 2010. L’indagine è denominata Suiss secrets.
Tra le identità criminali c’è un trafficante di esseri umani nelle Filippine, un boss della borsa di Hong Kong incarcerato per corruzione, un miliardario che ha ordinato l’omicidio della fidanzata pop star libanese e dirigenti che hanno saccheggiato la compagnia petrolifera statale del Venezuela, così come i politici corrotti dall’Egitto all’Ucraina. Solo per citarli alcuni.
Secondo un ex dirigente di Credit Suisse basato a Zurigo che ha accettato di parlare anonimamente con il team di giornalisti, la banca svizzera non solo accettava, ma incoraggiava i propri dipendenti a fornire servizi a clienti con fondi di dubbia provenienza. In questi casi i conti erano gestiti direttamente dalla direzione della banca, con i conti più ricchi e al tempo stesso più a rischio che venivano “isolati e gestiti dagli alti dirigenti“.
La risposta di Credit Suisse finora ha fatto appello proprio alle leggi svizzere sul segreto bancario. «Credit Suisse respinge con forza le accuse e le deduzioni sulle presunte pratiche commerciali della banca – recita il comunicato. – Le questioni scoperte dai giornalisti sono basate su informazioni selettive prese fuori contesto, con conseguente interpretazione tendenziosa della condotta commerciale della banca».
La banca ha anche riferito che le accuse sono per la maggior parte “datate“, risalenti a un tempo in cui “le leggi, le pratiche e le aspettative delle istituzioni finanziarie erano molto diverse da oggi“. «A seguito di numerose indagini da parte del consorzio nelle ultime tre settimane, Credit Suisse ha esaminato un ampio volume di conti potenzialmente associati alle questioni sollevate – ha puntualizzato la banca svizzera. – Circa il 90% dei conti analizzati è oggi chiuso o era in fase di chiusura prima di ricevere le richieste della stampa, di cui oltre il 60% è stato chiuso prima del 2015. Dei restanti conti attivi, siamo convinti che un’adeguata due diligence, revisioni e altre misure relative al controllo sono state adottate in linea con il nostro attuale quadro. Continueremo ad analizzare le questioni e, se necessario, adotteremo ulteriori misure».
Il tempismo della fuga di notizie non potrebbe essere peggiore per il Credit Suisse che il mese scorso ha perso il suo presidente, António Horta-Osório, dopo aver violato due volte i regolamenti previsti dal Covid.
di: Maria Lucia PANUCCI
FOTO: EPA/JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Ti potrebbe interessare anche: