Il mondo del lavoro è trainato da due tendenze, la great resignation e la talent retention. Ecco come affrontarle
Per mantenersi sulla cresta dell’onda le imprese devono orientare il proprio operato alla soddisfazione del consumatore, senza però perdere d’occhio il mercato del lavoro, concentrandosi quindi nel garantire un’offerta appetibile anche per vecchi e nuovi talenti.
Le parole d’ordine di questo periodo storico, ormai ufficialmente entrate nel lessico quotidiano, sono smart working, flessibilità e value proposition, ed è proprio su questi pilastri che le aziende devono imbastire la propria organizzazione interna. Ma c’è altro.
L’Osservatorio PageGroup, società di recruiting con sede nel Regno Unito, ha individuato altri due elementi critici che le imprese devono innanzitutto comprendere, per poi interiorizzare nel proprio piano di gestione del personale.
Il primo è il fenomeno della Great Resignation, di cui abbiamo già parlato anche qui. In sostanza, si tratta dell’aumento esponenziale delle dimissioni volontarie da parte di chi, anche grazie alla pandemia, ha sperimentato nuove modalità di lavoro e rifiuta quindi di ritornare alle vecchie abitudini.
Il fenomeno è particolarmente evidente negli Stati Uniti (lo abbiamo spiegato qui), ma prende sempre più piede anche nel nostro Paese.
Questa tendenza si traduce in una sfida per le imprese che devono così lottare non solo per cercare nuovi talenti, ma anche adattarsi alle necessità dei collaboratori per trattenerli. Si tratta, poi, di una sfida dal carattere internazionale, vista la crescente mobilità dei candidati che ampliano sempre di più il raggio geografico della propria ricerca.
«Molti hanno iniziato a dare maggiore importanza alla qualità del lavoro e della vita – spiega il senior managing director PageGroup Italia & Turchia Tomaso Mainini – hanno, in altre parole, iniziato a mettere
al primo posto i desideri di autorealizzazione, di crescita personale e sociale».
Speculare al fenomeno della Great Resignation c’è la sfida del talent retention, ossia l’implementazione di politiche aziendali che favoriscano la permanenza in azienda dei talenti scongiurando la dispersione del know-how acquisito.
«Una scelta che si concretizza nell’idea di lasciare il proprio ruolo per uno magari meno stressante, più affine ai propri valori o anche per perseguire progetti auto-imprenditoriali. Intercettare questi nuovi desideri è la vera sfida che attende le aziende nel 2022» spiega infatti Mainini.
Secondo l’osservatorio PageGroup i protagonisti della Great Resignation in Italia afferiscono soprattutto all’ambito tech&digital, in cui il numero di dimissioni sta toccando picchi particolarmente alti.
«Ci stiamo spostando – continua Tomaso Mainini – verso un modello di lavoro che viene definito phygital e che possa far convivere un maggiore equilibrio vita-lavoro con la motivazione, che rappresenta un asset fondamentale per la produttività, e il senso di appartenenza all’azienda e ai suoi valori».
Proprio la condivisione della scala di valori di un’azienda e del suo impegno concreto nella comunità sono diventati criteri imprescindibili della scelta dei candidati. Le aziende devono poi essere in grado di fornire alcune commodities essenziali, a partire dallo smart-working e dalla flessibilità, ormai date per scontate e non più negoziabili.
C’è poi il settore del training e della formazione continua, uno strumento importantissimo per attrarre nuovi talenti e spingere verso una loro crescita all’interno dei propri ranghi aziendali.
I bonus economici tendono poi verso una maggiore diversificazione, con l’introduzione di altri benefit che attingano al welfare o a casse sanitarie o assicurative.
PageGroup assicura anche che una comunicazione continua e trasparente è spesso sottovalutata ma svolge un ruolo decisivo, mostrando al proprio dipendente un’immagine di coerenza e concretezza.
Infine, l’Osservatorio ricorda come lo stile di leadership e il clima dell’ambiente di lavoro siano sempre più rilevanti nelle scelte dei candidati. Puntando sulla costruzione di buoni rapporti umani, prima ancora che di legami professionali efficaci, i manager devono quindi sviluppare una leadership inclusiva valorizzando potenzialità e unicità di ciascun collaboratore.
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
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