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Economia

L’aumento del costo della carne non dipende solo dalla guerra

Marianna Mancini
19 Marzo 2022
L’aumento del costo della carne non dipende solo dalla guerra
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Le proteine di origine animale hanno subito un balzo del 20% a causa di diversi fattori L’inflazione e l’aumento dei prezzi delle materie prime (abbiamo visto qui i beni colpiti […]

Le proteine di origine animale hanno subito un balzo del 20% a causa di diversi fattori

L’inflazione e l’aumento dei prezzi delle materie prime (abbiamo visto qui i beni colpiti dal rincaro) sono strettamente connessi all’esplosione della guerra, ma il conflitto in Ucraina non è il solo fattore scatenante del fenomeno.

Questo è particolarmente vero per la carne che ha subito un balzo del 20% del costo all’ingrosso, a fronte però di una media pressoché stabile dal 2000.

Un primo elemento scatenante di questo rincaro è connesso al rincaro del mais, il principale ingrediente dell’alimentazione naturale, che “comporta direttamente l’aumento del costo della razione quotidiana degli animali e quindi dei costi di produzione per i nostri allevatori” come spiega il consigliere delegato di Filiera Italia e presidente di Assocarni Luigi Scordamaglia.

In merito è in ballo anche una proposta della Commissione europea che intende allentare le regole della Pac sulla messa a riposo dei terreni, consentendo di aumentare la produzione interna di cereali e mangimi per gli allevamenti (lo abbiamo visto qui).

A questo si deve aggiungere il problema dei fertilizzanti: Mosca è responsabile del 20% della produzione mondiale di fertilizzanti e la minaccia di una sospensione dell’export ha preoccupato i mercati.

«Abbiamo chiesto subito che venga consentito l’utilizzo immediato del digestato – il miglior fertilizzante alternativo possibile esistente – ottenuto dai biogas (l’Italia è il quarto paese produttore mondiale) e siamo lieti che il Governo ci sia seguendo su questo» spiega ancora Scordamaglia.

Al di là delle cause connesse alla guerra però, “la sensazione è che siamo di fronte anche a comportamenti fortemente speculativi a livello internazionale di stoccaggio di tale prodotto con la finalità di farne aumentare il prezzo per poi metterlo sul mercato“.

Un po’ come succede oggi per l’energia, il tema della sovranità alimentare è ben noto all’Italia “già prima delle recenti tensioni internazionali sui mercati” ed è stato recentemente ribadito anche nel consesso di Versailles che l’ha definita “un bene assoluto da tutelare“. L’obiettivo è quello di svincolarsi dalla dipendenza da Paesi terzi “come ad esempio da quelli del mercosur che tra l’altro non garantiscono gli stessi standard di sicurezza ed ambientali“.

Oltre alla proposta della Commissione, l’Europa dovrebbe “implementare immediatamente la proposta francese di consentire esclusivamente importazioni nella Ue di prodotti che da un punto di vista ambientale qualitativo e lavorativo rispettino – e siano in grado di dimostrarlo – gli stessi standard previsti per gli agricoltori europei“.

Il razionamento del consumo di proteine animali non è invece un’ipotesi sul piatto, essendo insostenibile sotto diversi aspetti, innanzitutto da un punto di vista economico. L’allevamento in Europa vale circa 170 miliardi e, solo direttamente, impiega oltre quattro milioni di lavoratori.

C’è poi una questione nutrizionale: «eliminando i prodotti animali, che consumano solo il 14% degli alimenti destinati all’uomo, ci priveremo di apporti decisamente più consistenti di proteine e soprattutto di micronutrienti. Per cui il conto di sostenibilità sarebbe in drammatica perdita» precisa il presidente dell’associazione no profit Carni sostenibili Giuseppe Pulina.

«Inoltre – aggiunge – la gran parte delle aree utilizzate dagli animali zootecnici, ruminanti in particolare, non sono coltivabili, se non con gravi e irreparabili danni alla biodiversità e al suolo, per cui l’unico modo per ottenere alimenti per noi è il pascolamento».

di: Marianna MANCINI

FOTO: PIXABAY

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