Secondo i dati dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84 mila euro, quattro volte più della media delle superfici agricole
È record per il vino italiano che ha raggiunto un fatturato di quasi 14 miliardi nel 2022, come risultato del balzo dell’export e del calo degli acquisti domestici compensati però dai consumi fuori casa con la riapertura della ristorazione. Emerge dall’analisi della Coldiretti in occasione del Vinitaly.
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Inoltre, dal Vigneto Italia nascono opportunità di lavoro per 1,5 milioni di persone impegnate direttamente in campi, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche nelle attività collegate, dall’enoturismo alla cosmetica fino alle bioenergie.
“L’esercito del vino prende dunque sempre più consistenza – rileva Coldiretti – spaziando dai viticoltori agli addetti nelle cantine e nella distribuzione commerciale, per allargarsi ai settori connessi, di servizio e nell’indotto che si sono estesi negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi)”.
Accanto ai “tradizionali” produttori ed enologi si è sviluppata così una moltitudine di nuove figure professionali, aumentando – spiega Coldiretti – le opportunità occupazionali soprattutto per i giovani. Ma nelle vigne italiane trovano posto pure lavoratori stranieri ma anche diversamente abili, ragazzi affetti da autismo, detenuti, ed ex tossicodipendenti che hanno trovato tra i filari una chance di integrazione e riscatto”.
Non solo, il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84 mila euro, quattro volte più della media delle superfici agricole. Lo rileva l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly con una ricognizione sui valori dei 674 mila ettari del vigneto nazionale che da Nord a Sud della Penisola generano un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno e rappresentano al contempo uno degli investimenti più redditizi in assoluto sul piano fondiario.
Con il mercato che risponde con un boom di transazioni, dettate in particolare da fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana e Piemonte.
Le quotazioni massime più alte dei filari italiani – a volte sopra il milione di euro per ettaro – si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500.000 euro a ettaro per la zona di produzione del Trento Doc, la Valpolicella, Bolgheri e la Franciacorta.
Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, secondo le rilevazioni elaborate dal Crea, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).
L’alto valore medio a ettaro (dato dalla presenza di ampi territori vocati a produzioni di successo, come Prosecco, Valpolicella, Lugana, Pinot grigio, Valdadige) associato all’estensione del vigneto (100.000 ettari circa) pone il Veneto in testa alla classifica generale dei valori fondiari.
Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi: “Il vigneto Italia è ormai un brand globale specie nei suoi territori più vocati, e questo è un elemento di forza a cui gli investitori non possono sottrarsi. Notiamo come in genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana sia in primo luogo una questione di prestigio, poi certamente un bene rifugio o un elemento di diversificazione degli asset. Ma alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che di aderire a un progetto remunerativo nel breve-medio periodo con il solo valore della produzione. In Italia si assiste a questo – ha concluso Frescobaldi -, e non è un caso se Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha recentemente acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa”.
Importante anche il ruolo sociale delle terre del vino. Secondo l’Osservatorio, la viticoltura in Italia costituisce da sempre un baluardo a difesa del paesaggio: nonostate la crescita della viticoltura in pianura, tutt’oggi poco più della metà dei vigneti nazionali si colloca sopra i 300 metri di quota, con il 42% in collina (301-700 metri) e il 9% in montagna (sopra i 700 metri).
Montagna che in alcuni areali (Valle d’Aosta, Liguria) è il luogo di maggiore presenza della viticoltura con quote superiori al 60%, ma che raggiunge incidenze ragguardevoli (pari o superiori al 30%) anche in altre regioni, come Campania, Basilicata, Calabria, Molise e Piemonte. In totale sono 62 mila gli ettari vitati in montagna, dato destinato a crescere in futuro per via dell’innalzamento delle temperature medie.
Viticolture prevalentemente di collina (281 mila gli ettari complessivi) sono quelle abruzzese (96%), umbra (89%), marchigiana (85%) e toscana (81%), a cui si aggiungono le produzioni di alta collina in provincia di Bolzano (86%) e Trento (40%). Prevalenza di viticoltura pianeggiante in Veneto, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia e Friuli Venezia Giulia.
(foto SHUTTERSTOCK)