
Solo il 30% delle aziende sopravvive al proprio fondatore e solo il 13% arriva alla terza generazione. Lo ha rilevato Di Stefano, dei giovani di Confindustria al Festival di Trento
“Il ricambio generazionale in Italia rappresenta un fenomeno economico ma anche culturale e sociale”. Il 65% delle imprese con fatturato superiore ai 20 milioni di euro è costituito da aziende familiari. Entro i prossimi 5 anni è previsto in quasi il 20% dei casi (dato che più o meno equivale alla percentuale di ultrasettantenni ancora alla guida) il passaggio del testimone dei fondatori agli eredi. Solo il 30% delle aziende sopravvive al proprio fondatore e solo il 13% arriva alla terza generazione.
Sono tra i dati sottolineati dal presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Riccardo Di Stefano, a Trento, dove al Festival dell’Economia ha fatto tappa il tour degli industriali under40 per approfondire i temi del ricambio generazionale, legato al libro ‘La staffetta’ di Mario Benedetto.
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“Il contesto economico in cui sono costrette a muoversi le aziende, è sempre più difficile e incerto per la pressione fiscale, oltre all’elevato costo del lavoro, agli oneri legati alla burocrazia, all’incertezza del sistema del contenzioso civile, alla concorrenza, al costo dell’energia”.
Così, rileva il presidente dei Giovani Imprenditori, “spesso nel desiderio del fondatore c’è la volontà di risparmiare ai figli sacrifici e preoccupazioni che derivano da questo status quo”. E “talvolta è proprio questa la leva che spinge all’alienazione dell’azienda ad altri player nazionali o, sempre più spesso, multinazionali. Non sono rari i casi in cui questa preoccupazione spinge alla cessazione dell’attività con conseguenze indirette sul territorio e sul nostro tessuto economico”.
Il rischio è anche quello di bruciare “tanto valore, tanta esperienza che invece si dovrebbe preservare”. “Salvaguardare il bene aziendale – prosegue – non vuole dire necessariamente far succedere il figlio nel medesimo ruolo del padre. Un erede può scegliere per sé il ruolo di azionista, può favorire processi di aggregazione con altre realtà, può scegliere di sviluppare solo alcuni asset aziendali”.
Nel passaggio generazionale in impresa “il punto nevralgico riguarda la formazione e lo stile di guida delle nuove generazioni: nuove visioni e competenze più aggiornate rispetto alle sollecitazioni del contesto contemporaneo, conducono spesso a stili di guida dell’azienda diversi rispetto alla generazione precedente”.
In ogni caso, dice Di Stefano, “è un processo vantaggioso che, se guidato dalla giusta consulenza e integrato con una formazione finanziaria adeguata, può portare a consolidamenti che contribuiscono a distendere il valore dell’azienda e del lavoro familiare nel tempo”. Ed è “essenziale, inoltre, investire nella formazione dei manager perché vadano a coprire il fianco scoperto della seconda generazione, consentendo ad essa di maturare esperienza garantendo, allo stesso tempo, una longevità all’azienda”.
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