Ad ostacolarle sono ancora pregiudizi, gap salariale e difficoltà a conciliare famiglia/maternità e lavoro
La metà dei laureati sono donne ma solo il 26% in media tra professori ordinari, direttori di dipartimento o di centri di ricerca sono donne. Una percentuale che se è già di per sé bassa tra le facoltà umanistiche (30%) scende ulteriormente al 22% per le scienze naturali e al 17,9% per l’ingegneria e la tecnologia.
Non solo, ma guardando al panorama italiano il Belpaese è terzultimo in Europa, con solo il 17% di donne presenti ai vertici degli ambiti di ricerca. I numeri sono messi nero su bianco da una ricerca di The Lancet Regional Health – Europe che sottolinea, tra gli ostacoli maggiormente incontrati, non solo il persistente pregiudizio verso le donne nelle facoltà scientifiche ma anche il mancato riconoscimento del lavoro femminile oltre all’ormai insanabile divario salariale tra uomini e donne. A questo, poi, si aggiunge anche un altro ostacolo, forse il più difficile da superare dopo la maternità: conciliare gli impegni familiari con gli incarichi di rappresentanza della ricerca ad alti livelli.
Come sottolinea Stefania Boccia, Ordinario di Igiene generale e applicata alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, Campus di Roma e Vice Direttrice Scientifica della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS «Questo comporta una perdita di talenti nel mondo accademico, ma anche una perdita del punto di vista femminile che potrebbe aggiungere idee, innovazione e creatività preziose nei team di ricerca. Inoltre, la scarsità di modelli e mentori femminili di successo in posizioni di rilievo ha un impatto negativo anche sulla fiducia e sull’ambizione delle donne nel perseguire una carriera accademica».
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