Il vertice potrebbe essere l’ultima occasione di salvare le conclusioni dell’accordo sul clima di Parigi del 2015 e l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi
Cop28, i negoziati proseguiranno tutta la notte per trovare un accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili, che il blocco guidato dall’Arabia Saudita si rifiuta di accettare.
Dopo la bocciatura della prima bozza, ora il presidente emiratino Al Jaber deve presentare una proposta convincente. Le consultazioni con le Parti e i delegati degli Stati dovrebbero proseguire fino alle 23:00 (03:00 ora locale), per poi procedere con l’elaborazione di una nuova bozza da approvare nella sessione plenaria.
Il risultato finale sarà pubblicato “forse stanotte, forse domani mattina presto. Ma stiamo facendo progressi “, ha detto John Kerry, inviato degli Stati Uniti per il clima.
L’Unione Europea e altri 130 Paesi, tra cui Usa e Brasile, spingono per un accordo più ambizioso, che preveda il phase out da petrolio, gas e carbone. Arabia Saudita, Kuwait e Iraq invece hanno adottato una linea dura per tutelare la maggiore fonte di sostegno delle loro economie.
Quindi, a meno di una intesa dell’ultimissimo minuto anche quella di Dubai, come quasi tutte le altre Conferenze delle Nazioni Unite sul clima, porteranno allo slittamento di ogni decisione.
D’altronde era molto ottimistico sperare in una conclusione diversa: parlare di abbandono dei carburanti fossili in un Paese del Golfo era complicato. Addirittura impossibile con la presidenza dei lavori affidata a Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato di Abu Dahbi National Oil Company (la Adnoc, principale compagnia petrolifera degli Emirati Arabi).
Ad oggi, il risultato è stato un documento che le delegazioni più importanti, a cominciare da Ue e Stati Uniti hanno considerato inadeguato. Il cartello petrolifero ha ufficialmente invitato i membri a sterilizzare ogni dichiarazione che porti a ridurre l’estrazione di petrolio, carbone e gas. Sullo sfondo anche la sapiente regia della Russia, dopo il viaggio di Vladimir Putin in Arabia Saudita, proprio per trovare un fronte comune tra i Paesi produttori ed esportatori.
Nella bozza preparata da al-Jaber manca un cammino chiaro per l’uscita, o quantomeno per un taglio consistente delle emissioni entro il 2030. Un passo necessario per centrare l’obiettivo di Parigi 2015, contenere l’aumento medio della temperatura ad 1,5 comunque sotto i due gradi rispetto ai livelli pre-industriali Il negoziato è nelle mani di Sultan Al Jaber, “Il fallimento non è un’opzione”, ha avvertito ieri e tuttavia la sua presidenza sta scontentando molti e polarizzando le posizioni, rendendo ad oggi assai difficile ottenere l’approvazione di tutti i 197 Stati sul documento finale.
Al Jaber ha proposto una bozza di accordo che lascia completa libertà ai governi di scegliere il modo in cui “ridurre” i combustibili fossili. Il testo di 27 pagine non fissa più alcun obiettivo comune di “uscita” dal petrolio, dal gas e dal carbone, il cosiddetto ‘phaseout’, pur previsto nelle versioni precedenti.
L’Unione Europea ritiene il progetto “insufficiente” e gli Stati Uniti chiedono che venga “sostanzialmente” rafforzato. Ong ed esperti denunciano un progetto che elenca opzioni non vincolanti, una “lista della spesa” o un “menu à la carte”.
Sicuramente c’è la “riduzione sia del consumo che della produzione di combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo, in modo da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050″ come raccomandato dalla scienza. Ma non viene più menzionata la parola “uscita” dai combustibili fossili.
Lo schermo è rappresentato dal sostegno alle nascenti tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, che consentirebbero ai Paesi produttori di continuare a pompare idrocarburi.
Non a caso sul carbone, che ai Paesi Opec non interessa visto che non sono produttori il testo chiede “una rapida riduzione senza cattura del carbonio” e anche “limiti alle autorizzazioni concesse per le nuove centrali elettriche”. Un paragrafo cita anche le tecnologie “a basse emissioni“, tra cui il nucleare, la cattura del carbonio e l’idrogeno “a basso contenuto di carbonio“, “al fine di migliorare gli sforzi per sostituire senza sosta i combustibili fossili nei sistemi energetici”.
Questa formulazione fa eco alla Dichiarazione congiunta firmata a novembre da Cina e Stati Uniti. I due principali generatori di gas serra al mondo (41% in totale) hanno evitato di parlare di “uscita” dai combustibili fossili ma hanno sottolineato che le energie rinnovabili (solare, eolica, ecc.) dovrebbero gradualmente sostituirli.
(foto ANSA)