
Per quale motivo Taiwan è al centro degli interessi di Pechino ma anche di Washington?
Le recenti elezioni a Taiwan hanno messo in evidenza non solo l’importanza dell’isola a livello economico ma anche tutti gli intrecci, a livello internazionale, che passano da questa isola. Una fotografia ampia e complessa come evidenzia nel suo intervento Alessandro Bergonzi Financial markets content specialist di Investing.com
Le ultime elezioni a Taiwan hanno evidenziato la volontà di non unirsi a Pechino. La conferma di uno status quo (un’indipendenza “de facto”) però, sul lungo periodo, potrebbe far aumentare le tensioni nei rapporti USA-Cina?
«Taiwan è considerata dalla Cina una provincia ribelle e stando ai discorsi di Pechino non è tanto il se ma il quando tornerà sotto la Repubblica popolare. Secondo alcuni l’invasione potrebbe avvenire già entro il 2027, ma la data entro la quale la Cina intende risolvere la questione è il 2049, quando il partito comunista celebrerà i 100 anni alla guida del Paese. D’altra parte, i taiwanesi hanno espresso nuovamente la voglia di autonomia alle ultime elezioni, il che rende difficile immaginare una soluzione pacifica nell’immediato. Per quanto riguarda gli Usa, ultimamente abbiamo assistito a un cambio di retorica da parte del presidente Biden che ha affermato di essere pronto a difendere Taiwan in caso di attacco cinese. Servirà un grande sforzo diplomatico per evitare un’escalation, certo è che per ora nessuno sembra disposto a fare un passo indietro».
Per quale motivo Taiwan è al centro degli interessi di Pechino ma anche di Washington?
«Per la Cina Taiwan è importante innanzitutto dal punto di vista storico e ideologico. Rinunciare a Taiwan vorrebbe dire rinunciare a uno dei propri principi fondanti, ovvero quello di un’unica Cina, oltre che riconoscere l’esistenza di un modello alternativo a quello comunista. Per gli Stati Uniti, invece, Taiwan è fondamentale dal punto di vista strategico: rappresenta la porta di accesso al Pacifico, un porto cruciale per il controllo dei mari e Washington non vuole farselo sottrarre proprio dal suo principale rivale. A tutto questo negli ultimi anni si sono aggiunte ragioni di tipo economico. Taiwan, infatti, è la capitale mondiale dei microchip, la materia prima della tecnologia. Ed è su questo terreno che si gioca la competizione tra Cina e Stati Uniti».
Qual è il reale peso di Taipei sull’economia mondiale?
«A Taiwan opera la maggiore industria di semiconduttori del mondo, la Taiwan Semiconductor Manifacturing Company (Tsmc). Per farsi un’idea, nel terzo trimestre 2023 da Taiwan è uscito il 60% di tutti i microchip prodotti a livello globale, al secondo posto si è piazzata la Corea del Sud con il 20% circa delle quote di mercato. L’isola si trova poi in posizione strategica tra l’oceano Indiano e quello Pacifico ed è quindi un punto centrale nelle rotte marittime internazionali».
Cosa farà la Cina dopo le elezioni a Taiwan e come cambieranno i suoi rapporti con gli USA?
«La Cina considera Taiwan una questione interna e non ammette intromissioni internazionali. Già subito dopo le elezioni il ministero degli esteri cinese si è lamentato del fatto che il segretario di Stato Usa, Antony Blinken si sia congratulato con il partito democratico progressista per la vittoria. Tuttavia, se da un lato il risultato elettorale rappresenta un ostacolo alla riunificazione pacifica, perché è la terza volta che il Ppd viene chiamato al governo, dall’altra l’esito non è del tutto negativo per Pechino. Lai Ching-te ha vinto una corsa a 3 con il 40% delle preferenze, meno della maggioranza ottenuta nel 2020 dal suo predecessore Tsai Ing-wen. Quindi c’è il margine per lavorare su Taiwan attraverso pressioni economiche, mentre la via della forza resta la più pericolosa per tutti e per questo la meno probabile».
A novembre di quest’anno ci saranno le elezioni presidenziali statunitensi: quali potrebbero essere le conseguenze sulla questione dell’indipendenza di Taiwan, nel caso di un ritorno di Trump alla Casa Bianca?
«Nel suo primo mandato Trump non è stato morbido con la Cina e appena insediato ha subito riacceso le tensioni su Formosa. Ma Biden ha proseguito sulla stessa linea e oggi sia repubblicani che democratici concordano sulla minaccia cinese. Quindi, chiunque vinca, è difficile immaginare una distensione nei rapporti Cina-Stati Uniti. Nel caso dovesse spuntarla Trump, però, è lecito aspettarsi stravolgimenti sul piano dell’equilibrio internazionale».
Il Tycoon quindi, al motto di “America first”, potrebbe, secondo quanto sottolineato in chiusura dall’esperto, mettere sotto pressione l’Unione europea, chiedendo agli alleati di prendersi le proprie responsabilità nelle relazioni con la Cina.
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