
Per quale motivo il canale di Suez è uno snodo decisivo per il commercio internazionale?
Le tensioni nel Mar Rosso e nel Canale di Suez rischiano di rimettere in gioco molti equilibri geopolitici e soprattutto alleanze economiche a livello mondiale. Quali i rischi e le conseguenze di un possibile prolungarsi della crisi? Lo abbiamo chiesto a Ricardo Evangelista Analista Senior, ActivTrades
Per quale motivo il canale di Suez è uno snodo decisivo per il commercio internazionale?
«Il Canale di Suez consente la via marittima più breve tra Asia ed Europa e rappresenta il 12% del commercio mondiale».
Quali potrebbero essere, a livello mondiale, i contraccolpi sul fronte economico delle tensioni che si stanno evidenziando nella zona?
«La catena di approvvigionamento globale e il trasporto di prodotti strategicamente importanti, come il petrolio e il gas liquefatto provenienti dal Golfo, potrebbero risentirne, con conseguenti ritardi e costi più elevati per i consumatori che, in definitiva, potrebbero significare una battuta d’arresto nella lotta contro l’inflazione e avere un impatto negativo sulla crescita dell’economia globale».
Considerando la situazione, e soprattutto le conseguenze sull’inflazione, i potenziali tagli delle banche centrali sui tassi di interesse, che molti intravedono tra marzo e la fine dell’estate, sono a rischio? Dovremo attenderci un prolungamento delle politiche restrittive di Fed e BCE?
«Per il momento tale scenario non viene preso in considerazione. La situazione nel Mar Rosso non è degenerata in una guerra totale con l’ingresso nel conflitto di potenze locali come l’Iran quindi, per ora, nonostante gli attacchi degli Houthi, le merci stanno ancora attraversando lo stretto di Hormuz».
Quali sono allo stato attuale, i rischi per l’economia italiana?
«I rischi per l’economia italiana sono gli stessi che minacciano l’Occidente in generale: turbolenze geopolitiche che colpiscono investimenti e consumi, il che significa una minore attività economica, e il rischio inflazionistico posto da un conflitto prolungato nella regione del Golfo. Con circa il 12% del commercio globale che passa attraverso il canale di Suez, il momento per l’economia globale difficilmente avrebbe potuto essere peggiore. Se il conflitto non verrà risolto presto, i prezzi globali aumenteranno a causa dei maggiori costi di trasporto. Allo stesso tempo, ne soffriranno anche le catene di approvvigionamento, alcune delle quali si stanno ancora riprendendo dalle interruzioni legate al Covid-19».
Quali sono i settori più colpiti sia per l’economia italiana che per quella mondiale?
«Non conosco abbastanza la situazione italiana per commentare. A livello globale i settori che sembrano soffrire di più sono quello manifatturiero, a causa dell’interruzione della catena di approvvigionamento, e quello energetico a causa della deviazione di alcune navi cisterna».
In questa fase è possibile prevedere le ripercussioni sul fronte energetico e su quello delle materie prime?
«Tutto dipende da come si evolverà il conflitto. Un conflitto molto prolungato o intensificato potrebbe avere un effetto dannoso, determinando un aumento dei prezzi. Per ora tale scenario non si è concretizzato e le preoccupazioni sull’offerta sono state oscurate da quelle legate alla domanda, a causa del rallentamento dell’attività economica, in particolare in Cina. L’escalation delle tensioni nel Mar Rosso ha già visto il prezzo del petrolio salire, seppure temporaneamente, sopra la soglia degli 80 dollari al barile. Più in generale, sta anche intaccando la propensione al rischio globale».
Con alcuni dei principali operatori marittimi del mondo che confermano che la regione è ormai un’area vietata, conclude Ricardo, il trasporto di merci dall’Asia e di petrolio dalla regione del Golfo all’Occidente verrà effettuato attraverso la rotta del Capo, più lunga e costosa.
FOTO: SHUTTERSTOCK