Fare impresa nella ristorazione non è semplice: ci vuole competenza e capacità di districarsi in un settore che pullula di attività. Come fare la differenza? E qual è in generale lo stato di salute del comparto in un momento storico non facile a causa del caro-vita? Abbiamo chiesto questo e molto altro a Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi di Fipe-Confcommercio.
Partiamo da una panoramica: come sta reagendo il settore della ristorazione al caro-vita?
«Il 2023 è stato un anno positivo che ha confermato la ripresa dopo lo shock pandemico. Il 2022 ha segnato un recupero delle perdite subite nel biennio di chiusure per il Covid e lo scorso anno si è consolidata questa azione di risalita anche se dalle nostre stime emerge che a prezzi reali, quindi senza contare l’inflazione, siamo ancora, seppur di poco, sotto i livelli del 2019. A prezzi correnti siamo invece abbondantemente sopra. Questo non perché il settore abbia avuto un’inflazione eccessivamente alta, anzi siamo stati virtuosi, attestandoci nella media nazionale del 5,8% e mantenendoci a livelli piuttosto moderati anche quando il costo della vita ha raggiunto picchi a due cifre per le materie prime e l’energia. La ristorazione ha cercato il più possibile di non scaricare sui listini, e quindi sui consumatori, l’aumento delle varie voci di costo. E la stessa dinamica la registriamo anche in questi primi mesi del 2024. A febbraio l’inflazione nei servizi di ristorazione scende al +3,5% dal +3,7% di gennaio. Anche i prezzi della ristorazione commerciale rallentano dal +3,8% al +3,7%. La dinamica dell’inflazione generale resta costante allo 0,8% per il venir meno delle tensioni sui prezzi dei Beni alimentari, non lavorati e lavorati».
A livello lavorativo, qual è la situazione? Mancano addetti?
«C’è da dire che il nostro è sicuramente un settore estremamente competitivo: a fine 2023 contiamo 332 mila imprese. Tante aprono, ma molte di più chiudono. Devo dire che dopo la pandemia c’è stato un significativo rallentamento nel numero delle aperture: siamo passati dalla fase pre-pandemica in cui si contava una media di 15-16 mila nuove aziende a 10 mila nel 2023 di qualsiasi tipo: bar, ristoranti veri e propri, gelaterie etc. Sul fronte occupazione siamo tornati sopra i livelli pre-Covid per quanto concerne i dipendenti, mentre quella indipendente ha avuto un leggero calo, in linea con i dati di aperture e chiusure di cui parlavamo prima. Bisogna anche segnalare che il 50% delle imprese continua a denunciare difficoltà nel reperire personale qualificato. Si ricercano soprattutto camerieri e cuochi».
Quanto è importante formarsi per fare impresa in questo settore?
«Direi che è indispensabile. È fondamentale sia avere personale qualificato, che fa la differenza in un’attività come la ristorazione nella gestione operativa ma anche nel rapporto virtuoso con i clienti, ma è centrale anche la formazione manageriale per chi decide di aprire un’attività. Il fatto che su 100 aziende che aprono circa la metà dopo cinque anni chiuda dimostra non solo che siamo in un settore super-competitivo ma anche che molti si improvvisano a fare gli imprenditori. Bisogna avviare una attività con consapevolezza ed essere preparati per tutto ciò che concerne la gestione: dal personale, al conto economico, al marketing, la comunicazione, l’innovazione digitale, i prodotti. E purtroppo ritengo che la fragilità che continua a caratterizzare il tessuto imprenditoiale del settore, ovvero la facilità con cui molte aziende cessano l’attività, continuerà anche nel 2024. Per questo come Fipe insistiamo nell’importanza della formazione, perché non è tanto difficile aprire una attività quanto piuttosto mantenerla in attività nel tempo».
Cosa dovrebbe fare il Governo per incentivare ed agevolare gli imprenditori della ristorazione? Cosa chiedete?
«Chiediamo innanzitutto la conferma del taglio del cuneo fiscale per rimpiguare le buste paga dei lavoratori. Poi bisogna agire sulla leva degli investimenti, rendendo accessibili incentivi fiscali inerenti per esempio la transizione digitale ed energetica che riguardano anche questo settore. E bisogna poi continuare a dare supporto alle famiglie per permettere loro di avere maggiore disponibilità da investire anche nei consumi che, ricordiamo, rappresentano il 60% del Pil nazionale, quindi una voce fondamentale per la crescita del nostro Paese. Senza consumi si fa faticare a crescere».
E a proposito di consumi che capienze vi aspettate per Pasqua e per i prossimi ponti del 25 aprile e del 1 maggio?
«Di solito quando la Pasqua è bassa, come quest’anno, non ci sono mai i fuochi d’artificio per il settore perché la propensione a consumare è condizionata ancora da un clima incerto che non invoglia ad uscire. Però il nostro è un settore che dipende molto dai flussi turistici che si prospettano buoni per il periodo. Prevediamo che saranno 6,4 milioni gli ospiti che consumeranno il pranzo di Pasqua nei ristoranti italiani, in linea con le presenze rilevate lo scorso anno, La spesa complessiva è stimata in 450 milioni di euro, in crescita rispetto al 2023 anche per effetto di un inevitabile aggiustamento dei listini. Per il lunedì di Pasquetta si prevede una leggera flessione rispetto al 2023, con il 78,1% delle attività che accoglieranno 4,9 milioni di clienti, tra residenti e turisti. Quindi tutto sommato direi bene ma non benissimo. Andrà meglio sicuramente per i prossimi ponti dove ci sarà una ripresa anche più consistente del turismo internazionale».
Per concludere, quali i numeri dell’imprenditoria femminile nella ristorazione?
«Ad oggi il settore della ristorazione conta oltre 600 mila donne attive e 96 mila imprese a conduzione femminile, pari all’8% delle imprese femminili complessive (oltre 1,2 milion)in Italia. In pratica nel nostro settore quasi un’impresa su tre è gestita da donne. Sdoganiamo dunque il luogo comune che si tratti di un settore prettamente maschile perché non è così, anzi il peso dell’imprenditoria femminile è in continua crescita. E non solo, anche a livello di lavoro dipendente più del 50% degli occupati è composto da donne. La maggior parte dei contratti sono a tempo indeterminato ma ci sono anche molti part-time che possono essere funzionali ad una migliore conciliazione tra tempo del lavoro e tempo di vita. Da questo punto di vista il nostro è un settore molto inclusivo e lo dimostra anche la presenza massiccia di giovani».
Insomma anche per la ristorazione italiana le difficoltà e le sfide non mancano. Ma proprio per questo sono necessari competenza e professionalità in un settore sempre più competitivo che non fa sconti a nessuno. Gli italiani, si sa, non vogliono rinunciare alla qualità ma questa si deve vedere in tutte le voci: dal cibo, alla gestione, all’allestimento del locale, alla comunicazione. E la qualità non si improvvisa.