La premier Giorgia Meloni lo ha detto più volte: oggi, in Italia, la colonna portante dell’economia è costituita dalle PMI (Piccole Medie Imprese), le quali però stanno subendo un profondo cambiamento, dovuto alla digitalizzazione diffusa. Il contesto economico non proprio favorevole non è poi d’aiuto visto che molti italiani per risparmiare tagliano le spese, riducendo notevolmente gli acquisti non essenziali. Come se non bastasse le tensioni geo-politiche stanno mettendo a dura prova il commercio globale. Abbiamo fatto il punto con la presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise.
Qual è lo stato di salute attuale delle piccole e medie imprese? Come stanno reagendo al caro-vita? Quali quelle che soffrono di più e quali invece quelle che stanno meglio?
«L’inflazione, quest’anno, dovrebbe rallentare: il condizionale però è d’obbligo, perché stiamo assistendo, purtroppo, al ritorno di qualche tensione sui prezzi dei beni energetici. Uno scenario preoccupante per le imprese di minori dimensioni. In particolare, per quelle che fanno riferimento al mercato interno, che si trovano schiacciate da un lato dagli aumenti dei costi di attività, dall’altro dal rallentamento della ripresa dei consumi: al netto dell’inflazione, la spesa annua delle famiglie è ancora oltre 1.600 euro sotto i livelli precedenti alla pandemia».
Secondo gli ultimi dati Istat sta salendo la fiducia delle imprese. Perché?
«Le rilevazioni Istat di marzo segnalano un lieve miglioramento del clima di fiducia delle imprese, ma insufficiente a recuperare il calo che si era registrato a febbraio. Si rimane sotto i livelli di gennaio e dicembre, e anche abbondantemente sotto la media del 2021 e del 2022. Nelle costruzioni e, soprattutto, nel commercio al dettaglio si registrano gli aumenti più consistenti. Nel primo comparto grazie al miglioramento delle attese per l’occupazione, nel secondo grazie al traino della grande distribuzione, che vede migliorare i giudizi sulle vendite future. Su questo fronte pesa anche lo spostamento di quote di mercato dai negozi alla GDO, che in questi anni di inflazione ha guadagnato terreno soprattutto al canale discount».
Qual è l’incidenza delle imprese straniere sul tessuto italiano?
«I dati di Infocamere ci dicono che sono oltre 650mila. Molte sono nel commercio e nel turismo, due comparti ad elevato tasso di internazionalizzazione. Si tratta di un fatto positivo, gli imprenditori stranieri danno un contributo essenziale al comparto, in un momento in cui il tessuto imprenditoriale italiano soffre gli effetti dell’invecchiamento demografico e la denatalità delle imprese. Certo, al di là dei numeri, molte imprese straniere sembrano essere attività di sussistenza, visto i bassi fatturati. Meriterebbe un approfondimento la concentrazione in alcuni settori: nel commercio ambulante le imprese straniere sono ormai il 54%, negli autolavaggi il 28%».
Dopo uno stallo durato sei mesi avete ottenuto il rinnovo del contratto per tre milioni di lavoratori nel commercio e nel terziario. Un bel traguardo. Quali ora i prossimi passi per i comparti in questione?
«È stato certamente un traguardo importante: la firma arriva dopo un lungo percorso negoziale. La trattativa è stata infatti condizionata da eventi eccezionali, dalla pandemia alla corsa dell’inflazione, che hanno avuto un impatto rilevante sulle imprese del comparto e sui consumi delle famiglie. Tra il 2019 ed il 2023 sono sparite oltre 56mila imprese del commercio al dettaglio, per la maggior parte piccole e micro attività commerciali di prossimità. Bisogna proteggerle attivamente: la desertificazione commerciale ha un impatto negativo non solo sugli imprenditori, ma anche sull’economia dei territori e sulla qualità della vita dei cittadini, che vivono una drammatica riduzione dei punti di accesso ai servizi commerciali, in molte località ormai scivolato sotto il livello minimo».
Sul fronte turistico invece quali sono le vostre previsioni per i prossimi ponti e per la prossima estate?
«La domanda turistica per la destinazione Italia continua a crescere, soprattutto tra gli stranieri. L’auspicio è che il prossimo periodo dei ponti di primavera, in particolare 25 aprile e 1° maggio, continui il trend positivo. Le previsioni, ad oggi, vanno in questa direzione. Esistono, però, delle criticità. Innanzitutto, preoccupa la domanda turistica delle famiglie italiane, che si è erosa a causa dell’inflazione e mostra segnali di indebolimento. C’è anche, però, la prospettiva di un ritorno del caro-carburante, che avrebbe un impatto significativo sul turismo».
Le vostre previsioni economiche per il 2024?
«Siamo in una fase difficile per tutti, complicata dall’acuirsi di tensioni internazionali che rischia di avere pesanti ripercussioni sul commercio globale. Il nostro Paese, però, mostra una resilienza anche maggiore dei nostri partner europei. Quest’anno il recupero dei consumi dovrebbe consolidarsi, grazie soprattutto al taglio del cuneo fiscale e all’avvio della riforma fiscale, che dovrebbero dare una spinta di oltre 5 miliardi di euro alla spesa delle famiglie, contribuendo anche alla crescita del Pil. Una crescita modesta – stimiamo una variazione del +0,9% – ma comunque un risultato non scontato visto il quadro in cui ci troviamo».
Insomma le sfide per le nostre aziende, tra inflazione, contesto geo-politico incerto e digitalizzazione, rischiano di essere davvero impattanti. Ma sono realtà che vanno tutelate e protette a beneficio di tutti, dagli imprenditori ai consumatori, in quanto rappresentano una struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale. E a dirlo sono i numeri: con un giro di affari di oltre 1.000 miliardi di euro, generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano un terzo di tutti gli occupati. Senza di loro la nostra economia non può crescere.