Frutta e verdura continuano a segnare numeri in forte crescita all’estero, segno evidente che anche questo nostro made in Italy non delude le aspettative. Il settore deve però fare i conti con i conflitti in Ucraina, Medio Oriente e con il blocco del canale di Suez. Per non parlare del caro-vita e delle difficoltà legate agli effetti dei cambiamenti climatici che rendono introvabili alcuni alimenti con inevitabili aumenti dei prezzi. Abbiamo parlato di questo e di molto altro con Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, la più importante associazione del settore ortofrutticolo italiano.
Presidente quanto vale ad oggi l’export dell’ortofrutta italiana e quali sono i mercati trainanti?
«Il 2023 si è chiuso con il record del valore delle esportazioni italiane di ortofrutta che ha raggiunto 5,78 miliardi di euro con una crescita del 9,1% rispetto al 2022 che aveva segnato il record precedente. Sicuramente l’inflazione ha avuto un ruolo in questo risultato, visto che le quantità esportate si sono ridotte dello 0,9%, ma questi numeri dimostrano che il nostro export è vivo nonostante le numerose problematiche produttive che hanno avuto alcuni prodotti importanti. Analizzando i singoli comparti, esportiamo più tuberi, ortaggi e legumi che realizzano un +8,7% in quantità e un +18,4% in valore, bene anche gli agrumi con +9,9% in volume e +19,3% in valore. Non lo stesso la frutta fresca che risente della crisi produttiva di pere e frutta estiva e che vede ridursi i volumi esportati del 7% a fronte però di un interessante volume di oltre 3 miliardi di euro di valore in crescita del 6,1%. Malino le esportazioni di frutta secca che, a quantità pressoché costanti, perdono il 13,3% in valore, sempre vivaci le esportazioni di frutta tropicale che cresce di oltre 20 punti sia in volume che valore a dimostrazione della crescente vocazione dei nostri operatori a fungere da hub per il mercato europeo. Per quanto riguarda i mercati di destinazione, la parte del leone la fa sempre la Germania dove è destinato oltre il 30% del nostro export, ma l’Italia è sempre stata pioniera anche verso Paesi più lontani, oggi esportiamo mele in 117 Stati del mondo e kiwi in 97. La nostra aspirazione è quella di allargare sempre di più questi orizzonti verso mercati più remunerativi di quelli tradizionali. Purtroppo ci scontriamo spesso con barriere fitosanitarie che impediscono ai nostri prodotti di arrivare dove vorremmo; oggi sono aperti ben 28 dossier presso il MASAF che riguardano 14 Paesi, tra i più importanti sicuramente la Cina, dove possiamo esportare solamente arance e pere, il sud est asiatico ed il Messico con cui stiamo lavorando per far arrivare mele e pere».
Quali sono i prodotti del nostro made in Italy che hanno più successo all’estero e perché?
«I dati sono molto chiari, i nostri prodotti di punta sono mele, uva da tavola, kiwi e arance. I dati del 2023 registrano il primo posto delle mele che, seppur calando leggermente in quantità (-0,95%), crescono del 6,63% in valore rispetto al 2022, superando i 900 milioni di euro. L’export dell’uva da tavola l’anno scorso ha risentito della scarsa raccolta, seppur molto buona dal punto di vista qualitativo e infatti è sceso del 13,58% in quantità ma è cresciuto dell’12,82% in valore, grazie anche alle nuove varietà senza semi che performano meglio dal punto di vista economico. Bene anche il kiwi che è ripartito nel 2023 con esportazioni in crescita del 13,23% in volume e di oltre 23 punti in valore, anche in questo caso si percepisce l’apporto delle nuove varietà in termini di valore esportato con il kiwi giallo protagonista. In evidenza gli agrumi italiani che l’anno scorso hanno segnato una crescita dell’export oltre la doppia cifra rispetto al 2022, con le arance che realizzano quasi un +28% in valore. Discorso a parte per le pere con dati di esportazione in continua inesorabile discesa, in attesa di un più che auspicabile rilancio, grazie anche a iniziative come UNAPERA, che rappresenta oltre il 70% della produzione e per le pesche e nettarine, loro malgrado vere protagoniste in negativo dell’anno 2023 con una perdita di circa il 40% dei volumi e dei valori esportati. I motivi del successo consolidato di alcuni prodotti è già stato accennato, sono referenze per le quali l’evoluzione varietale sta facendo la differenza. Per le mele si tratta delle varietà club sempre più riconoscibili l’una dall’altra in termini di gusto e profumo, per l’uva l’avvento delle varietà senza semi nelle diverse declinazioni di colore e sapore, il comparto kiwi sta approfittando della svolta rappresentata dal kiwi giallo e dalla novità kiwi rosso, per le arance, infine, la segmentazione esiste da secoli, le nostre arance a polpa rossa».

Marco Salvi-Presidente Fruitimprese (foto ufficio stampa)
Quanto le tensioni geo-politiche e l’inflazione stanno incidendo sui consumi di ortofrutta nel nostro Paese e quali sono i rischi a lungo termine?
«Le tensioni geo-politiche stanno incidendo soprattutto sul nostro export, la crisi del Mar Rosso è intervenuta a campagne di esportazione di mele e kiwi praticamente terminate, ma se dovesse perdurare, sono a rischio 300 milioni di euro di export di frutta fresca. In questo caso gli effetti sono anche indiretti, abbiamo registrato, infatti, in piena campagna agrumicola nostrana, un massiccio afflusso sui mercati europei di agrumi egiziani e turchi che questi Paesi non hanno potuto inviare ad est, con evidenti ripercussioni sui prezzi. Per quanto riguarda l’inflazione, come abbiamo evidenziato l’anno scorso a Mister Prezzi che ci ha convocato, si tratta di un falso problema, infatti l’ortofrutta rappresenta solamente il 3,7% della spesa delle famiglie, soffriamo purtroppo di una cattiva comunicazione e della frequenza di acquisto dei nostri prodotti che per il consumatore è più alta rispetto ad altri e quindi aumenta la percezione dell’aumento dei prezzi. Il risultato è che, purtroppo, i consumi di ortofrutta sono in continua discesa, negli ultimi 5 anni siamo passati da 6,1 milioni di tons ai 5,1 del 2023. Come Fruitimprese stiamo cercando di analizzare il problema per trovare delle possibili soluzioni, da un recente sondaggio che abbiamo commissionato all’Istituto Piepoli tra i ragazzi della Generazione Z è emerso che circa 2 milioni di loro consuma frutta e verdura al massimo 1-2 volte a settimana e la motivazione principale è legata al gusto. Dobbiamo lavorare su questo aspetto e sull’educazione al consumo di ortofrutta che deve venire dalle famiglie, dalla scuola e dallo sport».
Sono parecchi i problemi legati alle carestie per il meteo. Quali sono i prodotti più difficili da reperire e che stanno subendo più fluttuazioni di prezzo?
«Sicuramente le pere sono il prodotto più colpito, con una produzione che non supera il 30% di quella media degli ultimi anni, il meteo sta sicuramente incidendo, ma in questo caso l’attacco di insetti alieni (comunque riconducibile al caldo anomalo) ha decimato questa nostra produzione di eccellenza per cui l’Emilia Romagna era famosa nel mondo. Dalla stessa zona proviene la frutta estiva che l’anno scorso ha subito le maggiori perdite a causa degli eventi meteorologici; i danni sono stati riconducibili non tanto alle note alluvioni, quanto alle gelate primaverili che stanno preoccupando molto anche in questa campagna, nelle prossime settimane sapremo quantificare le eventuali perdite. Le fluttuazioni di prezzo in un mercato come il nostro sono spesso temporanee perché, anche a seguito di eventi atmosferici particolari i prodotti vengono rapidamente sostituiti da quelli di altre zone o di altri Paesi produttori».
Secondo un recente studio di CSO Italy l’ortofrutta è poco trendy a livello alimentare. Vale anche sul fronte manageriale? Quante sono ad oggi le imprese guidate da under 35?
«Lo studio a cui fa riferimento è probabilmente quello citato in precedenza realizzato dall’Istituto Piepoli che anche noi abbiamo collaborato a commissionare, non mi sembra che l’ortofrutta sia poco trendy, piuttosto manca una corretta educazione, qualcuno dice che abbiamo spinto troppo sulla “vitamina C”, intendendo che per le nuove generazioni le caratteristiche salutari sono importanti ma non decisive; probabilmente è così, c’è bisogno di una migliore comunicazione che deve essere accompagnata da una promessa mantenuta di gusto e qualità costante. Per quanto riguarda il ricambio generazionale nelle nostre imprese, la situazione non è delle migliori, un recente studio ha appurato che in Emilia Romagna l’83% delle aziende agricole senza un successore non lo cerca perché l’imprenditoria agricola, tranne alcuni casi sporadici, non sembra essere trendy. Nella nostra associazione abbiamo avviato da tempo un ricambio generazionale in seno al nostro Consiglio Direttivo ed i primi risultati si vedono, stiamo investendo in comunicazione e stiamo seguendo i recenti sviluppi in termini produttivi anche da punto di vista tecnologico».
Come secondo Lei il Governo deve intervenire per aiutare il comparto, coinvolgendo sempre di più i giovani?
«Il Governo Meloni sta sicuramente investendo in agricoltura, i primi segnali li abbiamo avuti dal principio, quando ha posto a capo del dicastero dell’agricoltura un elemento di spicco del partito di maggioranza. I risultati stanno arrivando con il massiccio investimento sulle filiere produttive a cui sono stati destinati in questa legislatura oltre 2 miliardi di euro, con gli aiuti per i prodotti in crisi come kiwi e pere e con la recente “cambiale ortofrutta” che ha esaurito i fondi in poche ore. C’è molto da fare per ridare fiducia alla produzione che negli ultimi anni non sta ricevendo una giusta remunerazione, servono interventi più corposi e con una visione di medio-lungo termine. In questo senso sono apprezzati anche gli aiuti per l’’imprenditoria agricola giovanile che speriamo portino i risultati attesi».
E proprio nei giorni scorsi è stato approvato dal consiglio dei ministri il testo contenente le norme per gli aiuti all’agricoltura che indica, tra le altre misure, risorse per 20 milioni di euro a sostegno delle imprese della filiera del grano e 12 per quelle della pesca. L’obiettivo è salvaguardare la qualità italiana dei nostri prodotti che porta benessere a chi acquista, all’intera filiera e che ci ha reso famosi in tutto il mondo.