Proseguono le audizioni sulla Manovra, la terza del governo Meloni, che deve passare dalle forche caudine del Parlamento dove è atteso un fuoco di fila di emendamenti, con le stesse forze di maggioranza al lavoro per modificare alcune parti, dal fisco alle pensioni.
Dopo la bocciatura di Confindustria, qualche segnale positivo arriva dall’Inps. Sulle pensioni il ddl bilancio “prevede interventi che potrebbero determinare effetti positivi in termini macroeconomici, con risvolti anche favorevoli sulla tenuta del sistema previdenziale“. Lo ha detto il presidente Gabriele Fava in audizione sulla manovra di fronte alle commissioni riunite Bilancio.
Secondo lui il ddl “segna una soluzione di continuità rispetto agli interventi transitori di contemperamento delle tensioni inflazionistiche degli anni 2022-2023, peraltro con la ulteriore previsione di misure temporanee a sostegno delle categorie di pensionati che versano in condizione di maggiore fragilità“.
«Sotto questo profilo assume rilevanza – prosegue Fava – il ritorno al regime di perequazione ordinario delle pensioni rispetto all’inflazione, il quale non può essere eccessivamente disatteso se non per far fronte a situazioni connotate da temporaneità come accaduto soprattutto negli anni del Covid. Il recupero pieno dell’inflazione, che si stima attestarsi allo 0,8% per l’anno 2024, permette di superare il raffreddamento attuato per il biennio 2023-2024 per i redditi pensionistici più elevati. Mentre per il biennio 2025-2026 la proroga degli interventi a favore dei pensionati con reddito pensionistico inferiore al trattamento minimo Inps (articolo 25) permette di rientrare gradualmente dal sostegno per i pensionati in maggiore difficoltà. C’è da tener presente in ogni caso che il livello di inflazione registrato, se da un lato mette meno sotto pressione le finanze pubbliche, fa registrare incrementi delle prestazioni contenuti».
Secondo Fava il Ddl predispone un impianto allo stato coerente, “attraverso interventi che riguardano tanto la permanenza nel mercato del lavoro quanto una maggiore gradualità nel passaggio alla pensione“.
In un’ottica di invecchiamento della popolazione e aumento delle esigenze di cura, il mantenimento di una spesa pressoché stabile in termini di Pil è un obiettivo che potrebbe risultare inadeguato rispetto ai fabbisogni reali, secondo il Cnel. «Il disegno di legge di bilancio 2025 stanzia più risorse alla sanità di quanto sarebbero arrivate stando alla stretta applicazione della regola della spesa, e tuttavia queste risorse colmano solo una parte del fabbisogno finanziario del sistema sanitario pubblico – spiega in audizione. – Nel 2025 si destinano alla sanità 962 milioni di euro, che salgono a circa 4,7 miliardi di euro nel 2027, per l’incremento del finanziamento al Fondo sanitario nazionale. Si tratta di risorse coerenti con le quantificazioni del DPB e rilevanti. L’impegno esplicitato anche nel Piano strutturale è quello di far crescere la spesa sanitaria in misura maggiore dell’aggregato della spesa netta, in modo da mantenere livelli adeguati di risorse. Considerate le risorse che il disegno di legge intende impegnare, la spesa sanitaria si manterrebbe pari al 6,4% del Pil, un livello solo lievemente superiore a quello stimato per il 2023-24. Inoltre, la spesa pubblica sanitaria in Italia è inferiore a quella degli altri tre grandi Paesi UE, per un ammontare variabile e assai significativo rispetto a Francia e Germania, sia quando lo si prenda in termini pro-capite sia quando lo si valuti in rapporto al Pil, una volta tenuto conto degli esborsi out of pocket, secondi solo a quelli spagnoli come quota sul totale».
In definitiva, il tema delle spese legate all’invecchiamento della popolazione in Paesi caratterizzati da bassa crescita dell’economia non è di agevole soluzione, e nel caso dell’Italia resterà uno degli snodi problematici della politica economica anche nei prossimi anni.