E’ nel pieno allarme per le catastrofi climatiche che ha preso il via oggi a Baku in Azerbaigian la Cop29, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che riunisce 197 Paesi e l’Unione europea. Nonostante il ripetersi di fenomeni meteorologici estremi riconducibili al riscaldamento globale, il mondo continua a sottovalutare l’impatto del cambiamento climatico. L’aumento della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali si sta rapidamente avviando a superare 1,5 gradi, che era stato fissato come obiettivo da non superare in occasione dell’accordo di Parigi nel 2015, proprio per evitarne le conseguenze catastrofiche.
Nonostante le piogge, le inondazioni, gli incendi, i raccolti andati distrutti, per non parlare delle vittine che tutti questi eventi hanno e stanno causando, i Paesi con le loro politiche ambientali non hanno fatto abbastanza per cercare di arginare i problemi.
Ed è così che questo nuovo appuntamento climatico si apre nell’allarme più totale. Ma c’è un altro pericolo che incombe: ovvero le mosse degli Stati Uniti.

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Donald Trump non ci sarà alla Cop29 di Baku ed il motivo è chiaro. In campagna elettorale aveva detto che, se eletto, avrebbe portato di nuovo fuori gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, come aveva fatto durante il suo primo mandato. Ma non solo. Ha minacciato di uscire del tutto dalla Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, l’Unfccc, quella che organizza le Cop. Vorrebbe dire che gli Usa non parteciperebbero neppure ai negoziati per definire le politiche mondiali sul clima, facendo di fatto quello che vogliono. Tutto lascia pensare che sarà proprio così.
In pratica quello che vuole Trump è “Drill, drill, drill”, ovvero trivellare a più non posso petrolio e gas: fonti fossili che da un lato danno agli Usa l’autosufficienza energetica e lo rendono pure paese esportatore, ma dall’altro aumentano l’effetto serra con tutte le conseguenze negative del caso.
A Baku i negoziatori dovranno fra l’altro fissare un nuovo obiettivo finanziario per sostituire l’impegno di 100 miliardi di dollari in scadenza il prossimo anno, stabilendo quali paesi contribuiranno a fornire il denaro necessario per decarbonizzare l’economia mondiale. Le pressioni saranno soprattutto sui ricchissimi Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, le cui economie sono però basate proprio sullo sfruttamento dei combustibili fossili. E se Trump dovesse fare qualche annuncio pesante sulle politiche climatiche nei giorni della conferenza, queste potenze petrolifere, che hanno sempre mal digerito gli impegni di decarbonizzazione, potrebbero approfittare del disimpegno americano per tirarsi indietro anche loro. E a quel punto non solo la Cop29 ma in generale le politiche mondiali per il clima farebbero una brutta fine.

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C’è anche la questione con la Cina. L’imminente ritorno di Trump potrebbe minare gli sforzi per convincere la Cina ad adottare obiettivi più ambiziosi di riduzione delle emissioni per il 2035, con Pechino già irritata dalle barriere commerciali verdi imposte dagli Usa su veicoli elettrici, batterie e pannelli solari. La questione è seria perché il maggiore emettitore di Co2 al mondo è la Cina, seguita nell’ordine da Stati Uniti, India ed Unione europea.
Fra gli ambientalisti è sempre stato evidente il malcontento per la scelta di Baku, capitale di uno Stato la cui economia è basata sullo sfruttamento delle risorse di combustibili fossili. Il fatto che sia proprio questa città a guidare i nuovi negoziati sui clima non è di buon auspicio, come non lo è, sul fronte climatico, il ritorno di Trump alla Casa Bianca.