Continua il viaggio di Business24 ed eToro all’interno del variegato panorama dei BRICS, il gruppo di nazioni che include molte delle economie emergenti e la maggior parte di quelle in via di sviluppo. Questa volta sotto i riflettori c’è l’Etiopia, una realtà economica che tenta da tempo il rilancio ma con fortune alterne. A disegnare il quadro della situazione è Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Dal primo gennaio del 2024 l’Etiopia è uno dei membri dei BRICS. Quali sono i vantaggi che la nazione, la seconda più popolosa dell’Africa, potrebbe trarre da questa alleanza?
«L’ingresso dell’Etiopia nell’alleanza dei BRICS rappresenta un importante passo avanti per il Paese, che ne conferma la posizione strategica nell’Africa subsahariana. Con una popolazione di circa 120 milioni di abitanti e un’economia in rapida crescita, la seconda più popolosa del continente e la quinta più grande in termini economici, l’Etiopia può contribuire attivamente alla cooperazione del blocco e trarne vantaggi significativi. Innanzitutto, la posizione geografica nel Corno d’Africa garantisce l’accesso alle rotte commerciali del Mar Rosso, fungendo da ponte naturale verso la Penisola Arabica, e permette al Paese di assumere un ruolo di primo piano nella cooperazione regionale e nel commercio internazionale. Così facendo, l’Etiopia avrebbe l’opportunità di diversificare i partner economici e di accedere a nuovi flussi di investimenti diretti esteri, soprattutto da Paesi membri come Cina e India, già attivi in settori chiave come il manifatturiero o le infrastrutture. Tali opportunità di investimento potrebbero risultare meno vincolanti rispetto ai consueti finanziamenti occidentali, poiché molti membri dei BRICS tendono a sostenere accordi che rispondono a esigenze specifiche, senza imporre condizioni politiche stringenti. Questo approccio è spesso più flessibile e orientato a una collaborazione economica a lungo termine, e ciò potrebbe aiutare l’Etiopia a sviluppare settori strategici quali energia, sanità, istruzione e telecomunicazioni, tutti essenziali per il suo sviluppo economico e sociale. Inoltre, i BRICS potrebbero favorire l’accesso a nuovi mercati per i principali prodotti di esportazione etiopi, come il caffè e i prodotti agricoli, grazie alla loro vasta rete di paesi membri e all’espansione dei mercati emergenti».
L’Etiopia è stata spesso definita come la più grande promessa economica dell’Africa. Una promessa che, però, stenta a realizzarsi dal momento che è ancora uno dei paesi più poveri al mondo. Quali sono le basi dell’economia etiope e quali, invece, le potenzialità inespresse?
«L’Etiopia continua a lottare per realizzare pienamente il proprio potenziale a causa di una serie di sfide strutturali ed economiche non indifferenti. Il Paese resta su soglie di povertà tra le più alte al mondo e, sebbene dagli anni ’90 siano state avviate significative riforme per risollevare l’economia, queste non sono state sufficienti. L’economia etiope si basa in larga misura sull’agricoltura, che rappresenta quasi la metà del PIL nazionale e si distingue in tre aree: attività di sussistenza, colture commerciali come il caffè, e allevamento, specialmente nelle aree più periferiche. La presenza di riserve di terra coltivabile e condizioni climatiche favorevoli danno all’Etiopia una base promettente, che però è spesso limitata da problemi di degradazione del suolo, deforestazione e mancanza di infrastrutture. Accanto all’agricoltura, anche l’industria manifatturiera contribuisce, sebbene in misura più limitata, al PIL del Paese, soprattutto per quanto riguarda alimenti processati, bevande, tessuti, tabacco e prodotti chimici, destinati in gran parte al mercato interno. L’industria è composta perlopiù da piccole aziende artigianali, che producono beni di consumo come mobili, utensili, tessuti e oggetti d’artigianato per il mercato turistico. L’assenza di una produzione manifatturiera su larga scala limita però il contributo dell’industria al commercio estero e alla creazione di posti di lavoro. Per quanto riguarda le risorse naturali, l’Etiopia ha un grande potenziale minerario che è ancora ampiamente inesplorato. La principale ricchezza mineraria del Paese è rappresentata da oro e tantalio, ma vi sono anche riserve di platino, gemme e salgemma, oltre a giacimenti di petrolio e gas naturale. Tuttavia, questa industria rappresenta ancora meno dell’1% del PIL: secondo alcune stime, l’Etiopia ha esplorato solo il 30-40% delle proprie risorse minerarie, mentre il 70% rimane sconosciuto a causa della mancanza di adeguate tecnologie di esplorazione e supporto infrastrutturale. Anche l’energia idroelettrica rappresenta una risorsa importante per il Paese, in grado di alimentare città e industrie, con un potenziale in espansione che potrebbe trasformare l’Etiopia in un esportatore di energia per altre nazioni africane. Oltre alla centrale idroelettrica del Gilgel Gibe, la massiccia “Diga del Grande Rinascimento Etiope” (GERD) lungo il Nilo Azzurro, rappresenta uno dei progetti più ambiziosi dell’Africa, con una capacità energetica prevista che aumenterà con l’attivazione graduale delle turbine. Tuttavia, i progressi sono ostacolati da controversie internazionali, specie con Egitto e Sudan, riguardo all’impatto ambientale e alla gestione delle risorse idriche del Nilo».
Addis Abeba dipende ancora, in gran parte, dalle importazioni che superano di 5 volte l’export. Quali sono i punti deboli del settore produttivo e quali le voci che potrebbero attirare e fidelizzare investitori e capitali internazionali?
«Il disavanzo commerciale dell’Etiopia è dovuto ad alcune criticità strutturali. Uno dei punti deboli principali è il basso livello di industrializzazione: il tessuto produttivo etiope è infatti dominato da piccole aziende locali e poche imprese capaci di competere sul mercato globale. Molti dei prodotti trasformati devono quindi essere importati, e questo aumenta i costi e penalizza la bilancia import/export. A questa fragilità si aggiungono le infrastrutture ancora insufficienti, soprattutto per quanto riguarda la rete di trasporti e l’accesso all’energia elettrica, particolarmente limitato nelle aree rurali. La mancanza di vie di comunicazione efficienti e di un sistema energetico stabile rende più costoso produrre e distribuire beni, frenando le potenzialità del Paese. Inoltre, il sistema educativo e di formazione professionale, soprattutto in ambito tecnico, risente di numerose lacune, lasciando molti giovani senza le competenze necessarie per contribuire alla crescita di settori industriali avanzati. Nonostante questi limiti, l’Etiopia offre anche opportunità interessanti per gli investitori internazionali. Tra i settori promettenti troviamo in particolare quello energetico, grazie alle risorse idroelettriche a cui abbiamo accennato. Anche le zone industriali, come quelle di Addis Abeba e Dire Dawa, stanno iniziando a ospitare aziende internazionali, beneficiando di incentivi che le rendono particolarmente interessanti nell’ambito tessile e dell’abbigliamento. Inoltre, la recente apertura del mercato delle telecomunicazioni offre opportunità per operatori esteri, mentre la filiera agricola e di trasformazione alimentare rappresenta un potenziale non ancora pienamente sfruttato. Con investimenti mirati, quindi, queste aree potrebbero divenire pilastri di un’economia più diversificata e meno dipendente dalle importazioni».
Recentemente il FMI ha sbloccato un finanziamento da 3,4 miliardi di dollari a favore dell’Etiopia mentre la Banca Mondiale prevede lo stanziamento di capitali per 1,5 miliardi di dollari. Quanto potrebbero incidere questi aiuti e soprattutto le riforme richieste, sul processo di sviluppo economico della nazione?
«Entrambe le misure potrebbero avere un impatto considerevole sullo sviluppo economico dell’Etiopia, a condizione che le riforme richieste vengano implementate correttamente. Innanzitutto, il finanziamento del FMI si inserisce in un piano di assistenza più ampio per l’Etiopia, che include un contributo totale di 10,7 miliardi di dollari da parte di vari partner internazionali e mira principalmente alla ristrutturazione del debito del Paese. Questa misura è stata resa possibile grazie alla decisione cruciale del governo di adottare una politica di fluttuazione controllata della propria valuta, il birr. Così facendo, oltre a migliorare la trasparenza fiscale, si dovrebbe incentivare la fiducia degli investitori, soprattutto nel settore privato. Le riforme richieste dal FMI includono misure di austerità e un’attenta revisione delle politiche di spesa pubblica, orientate alla riduzione del debito e al controllo dell’inflazione, con l’obiettivo di stabilizzare l’economia. Da parte sua, la Banca Mondiale ha previsto uno stanziamento di 1,5 miliardi di dollari, di cui un miliardo in sovvenzioni e 500 milioni in prestiti agevolati, destinati principalmente a sostenere la modernizzazione del sistema finanziario, la promozione del commercio e il rafforzamento della gestione delle finanze pubbliche. Anche questo intervento fa parte di un impegno più ampio, che prevede oltre 16,6 miliardi di dollari di nuovi investimenti per l’Etiopia nei prossimi anni, per supportare una stabilità economica duratura e lo sviluppo delle infrastrutture. Le implicazioni di questi aiuti sono indubbiamente rilevanti: se attuate con successo, le riforme potrebbero permettere all’Etiopia di accedere ai mercati internazionali con maggiore efficienza, migliorare la stabilità finanziaria interna e attrarre nuovi investimenti diretti esteri. Tuttavia, la chiave per un impatto duraturo risiede nell’efficace gestione delle risorse finanziarie e nella capacità del governo di implementare e monitorare le riforme».
In questo modo, conclude Debach, il sostegno finanziario del FMI e della Banca Mondiale potrebbero contribuire non solo a stabilizzare l’economia etiope, ma anche a creare una base più solida per il suo futuro sviluppo economico