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Economia

Pensioni, tutte le novità in Manovra: tra rivalutazioni e incentivi per rimanere al lavoro

Maria Vincenza D'Egidio
4 Dicembre 2024
  • copiato!

Dagli aumenti del 2025 per la rivalutazione legata all’inflazione agli assegni più bassi rispetto a chi si ritirerà nel 2024

Si va verso un nuovo aumento degli assegni per le pensioni. Come sempre, anche nel 2025 gli importi saranno rivalutati sulla base dell’inflazione, che pur essendo scesa rispetto ai picchi degli ultimi mesi resta comunque alta.

Per l’anno prossimo i pensionati guardano a un provvisorio +0,8% (salvo un futuro conguaglio di cui preoccuparsi a partire dal 1° gennaio 2026), secondo quanto stabilito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e da quello del Lavoro e delle Politiche sociali.

Scatta però un nuovo meccanismo di rivalutazione. O meglio, si torna al passato: si accantona il sistema a fasce, utilizzato nell’ultimo anno, per far spazio di nuovo a quello a scaglioni.

Pensioni: aumenti con il sistema a scaglioni

La rivalutazione piena con lo 0,8% in più non spetterà a tutti i pensionati italiani. Verrà infatti applicata solamente alle quote di assegni e agli assegni che arrivano a quattro volte l’importo del trattamento previdenziale minimo: 2.394,44 euro.

Poi si va man mano scendendo: la quota di assegno che supera questa cifra sarà rivalutata con percentuale più bassa. Nello specifico, scatta lo 0,72% fino a cinque volte il minimo (da 2.394,45 a 2.993,04 euro) e lo 0,60% sulle parti restanti (da 2.993,05 euro a salire).

Foto: Shutterstock

Si tratta di aumenti provvisori: l’indice di rivalutazione viene infatti stabilito sui dati Istat relativi ai primi tre trimestri dell’anno in corso, quindi da gennaio a settembre 2024.

Soltanto più avanti nel tempo si avranno le cifre anche per l’ultimo trimestre, da ottobre a dicembre, e quindi si potrà dire con certezza a quanto ammonta l’inflazione.

Per ora il Mef ipotizza, per i tre mesi finali dell’anno, una variazione dell’indice pari rispettivamente a 0,0%, +0,1% e +0,1%.

Confermato per il 2024 indice definitivo al 5,4%

Per il 2024 è stato invece confermato l’indice provvisorio stabilito nel 2023, pari al 5,4%. Significa che non si procederà ad alcun conguaglio sugli importi in più già incassati dai pensionati. Tradotto: chi sperava di vedersi arrivare qualche soldo in più rimarrà deluso.

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Interventi della Legge di Bilancio 2025 sulle minime

La Manovra 2025 va inoltre a confermare, anche per il 2026, la rivalutazione straordinaria degli importi pensionistici minimi. L’assegno al momento è di 598,61 euro (lordi) al mese.

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Per l’anno a venire scatta un +2,2%, portando le pensioni a 603,40 euro. Per il 2026 si guarda a un +1,3%, che significa 616,67 euro. C’è però da dire si tratta di stime non ancora confermate dall’Inps. La differenza con quanto succede adesso è comunque molto bassa.

Se è vero che il valore legale del trattamento minimo è di 598,61 euro, bisogna ricordare che la legge n.197 del 2022 ha già rivalutato, in via straordinaria e temporanea, gli importi minimi del 2,7% per il 2024, portandoli a 614,77 euro.

Per il 2025 la rivalutazione straordinaria è invece già approvata al 2,2%, quindi 616,67 euro (1 euro e 90 centesimi in più rispetto all’anno che si sta chiudendo, per un totale di 24,70 euro spalmati su 12 mesi).

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Anche se la partita è ancora aperta, visto che il dibattito politico non è ancora del tutto chiuso: una proposta di Forza Italia a firma dei deputati Pella, Cannizzaro, Barelli e Nevi ha, infatti, l’obiettivo di ripristinare l’aumento del 2,7% previsto per il 2024 e portare l’assegno delle pensioni minime a 623 euro.

Come da previsioni, nemmeno il 2025 sarà l’anno della grande riforma delle pensioni invocata da più parti per la sostenibilità di un sistema da tempo in crisi. Lo schema di disegno della Legge di Bilancio – da 30 miliardi di euro lordi – lascia più o meno tutto invariato a quanto già in vigore: vengono in sostanza riconfermate le misure della Legge di Bilancio 2024.

Sono comunque previste alcune novità in materia pensionistica: da una riformulazione degli incentivi per chi decide di rimanere al lavoro, alla rivalutazione degli assegni per l’inflazione.

Prorogate Ape sociale, Quota 103 e Opzione donna

Vengono innanzitutto prorogati per il 2025 gli interventi di flessibilità previsti dalla scorsa Legge di Bilancio: Quota 103, Ape sociale e Opzione donna.

Il primo prevede la possibilità di andare in pensione in anticipo, con 62 anni di età e 41 anni di contributi versati, imponendo però il ricalcolo contributivo. Per ora all’Inps sono arrivate molte meno domande del previsto: circa 7mila su una stima iniziale di 17mila.

Ape sociale è invece un anticipo pensionistico che può essere ottenuto, una volta raggiunti i 63 anni e cinque mesi di età, dai lavoratori che si trovano in una situazione di svantaggio: disoccupati, care giver, persone con invalidità almeno del 74% e con almeno 30 anni di contributi, o impiegati in attività usuranti con almeno 36 anni di contributi.

Opzione donna consente alle lavoratrici un pensionamento anticipato, ma solo a fronte di 35 anni di contributi e 61 anni di età (ridotti di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni).

La permanenza al lavoro

Guardando alle novità, la prossima Manovra introdurrà un innovativo meccanismo di incentivazione alla permanenza in servizio su base volontaria” con “un incentivo significativo sul fronte fiscale, si parla di una detassazione del 9,19% di contribuzione a carico del lavoratore.

Come annunciato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella conferenza stampa di presentazione delle misure. Resta da vedere quali saranno i dettagli operativi.

Foto: Ansa

Il Mef anticipa che saranno potenziate le misure destinate ai lavoratori pubblici e privati che raggiungono l’età della pensione ma restano a lavoro.

Sempre Giorgetti ha fatto sapere che «sulle pensioni c’è la rivalutazione piena e la rivalutazione delle minime: il meccanismo di sterilizzazione che era in vigore non c’è più», ha aggiunto.

Anche per questi due capitoli si attendono ulteriori dettagli. Sulle minime, Forza Italia vorrebbe arrivare a 640 euro.

Il Bonus Maroni viene prorogato e, la novità è che viene detassato. Questo bonus incentiva a restare in servizio:

  • i lavoratori che matureranno nel 2025 i requisiti per la pensione anticipata Quota 103,
  • ma anche, altra novità, coloro che raggiungeranno nel 2025 le condizioni per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).

In pratica, il lavoratore che sceglierà di non andare in pensione, riceverà in busta paga la quota dei contributi a proprio carico (pari al 9,19%), con un incremento netto del proprio stipendio pari a tale cifra.

Esercitando questa opzione però si avrà si un aumento dello stipendio ma anche un minor versamento di contributi utili ai fini previdenziali, perché continueranno a essere versati solo quelli a carico dell’azienda.

Nel corso del tempo, quindi, il montante contributivo utile ai fini pensionistici continuerà ad aumentare ma in misura inferiore.

La previdenza complementare

Ulteriore campo di intervento è una spinta alla previdenza complementare con l’introduzione di un semestre di silenzio assenso per destinare il Tfr ai fondi pensionistici.

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Alcune simulazioni pensionistiche

Dato il quadro disponibile, PensioniOggi.it ha lavorato a qualche simulazione sugli importi degli assegni più diffusi. Guardando ad esempio alle pensioni che nel 2024 sono state di mille euro, l’anno prossimo si passerà a 1.008 euro.

Chi ha preso 1200 di pensione ne riceverà 1.209,60, chi si fermava a 800 vedrà aumentare l’assegno di 6,40 euro.

Passando invece ai trattamenti più alti, si prende in esame una pensione da 5mila euro al mese, che il prossimo anno arriverà a 5.035,40 euro.

Pensioni per i residenti all’estero

È sempre la versione attuale della Legge di Bilancio 2025 che stabilisce come non verranno rivalutate sulla base dell’inflazione le pensioni di chi vive ormai all’estero, se si tratta di assegni che superano già l’importo minimo.

Foto: Shutterstock

Chi andrà in pensione nel 2025 avrà assegni un po’ più bassi rispetto a chi si ritirerà nel 2024. È infatti prevista una rivalutazione delle pensioni dell’1,6% secondo i dati forniti dall’Istat sulla base dell’andamento dell’inflazione.

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Questo valore è molto più basso rispetto a quello applicato per l’anno 2024, quando era pari al 5,4%. Risentiva infatti dell’alto livello di inflazione registrato sia nel 2022 sia nel 2023. Solo le pensioni più basse, comunque, vengono rivalutate applicando il tasso intero.

Simulazioni: esempio

Un lavoratore di 67 anni, con un montante contributivo di 400.000 euro, percepirà 22.892 euro annui se andrà in pensione entro il 2024 ma 22.432 euro annui dal 2025. Subisce quindi un taglio di 460 euro all’anno, cioè circa 35 euro al mese.

Foto: Imagoeconomica

Andamento delle pensioni nel tempo

Nel tempo, i lavoratori hanno progressivamente visto ridursi il valore della pensione, salvo eventuali compensazioni.

Rispetto al 2009 l’assegno pensionistico di un lavoratore-tipo è diminuito di oltre 2.100 euro annui. Considerando 400mila euro di montante contributivo, si notano infatti questi valori: fino al 2009 la pensione annua era di 24.544 euro, mentre nel 2025-2026 sarà di 22.432 euro.

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Rivalutazione delle pensioni

La rivalutazione delle pensioni si chiama anche perequazione automatica. È un meccanismo previsto dalla legge italiana che ha l’obiettivo di adeguare gli importi degli assegni pensionistici all’inflazione.

In questo modo si cerca di evitare che il potere d’acquisto dei pensionati venga ridotto dall’aumento del costo della vita. Le modifiche ai coefficienti sono stabilite seguendo gli indici Istat, che a loro volta monitorano l’andamento dei prezzi e dell’inflazione stessa.

Non tutti gli assegni sono rivalutati allo stesso modo: quelli più elevati subiscono una rivalutazione inferiore rispetto a quelli più bassi.

È un sistema di indicizzazione differenziata introdotto negli ultimi anni, che cerca di assicurare una maggiore equità. L’aumento viene infatti concentrato su chi riceve somme più basse.

Come è andata nel 2024

La rivalutazione nel 2024 è andata così:

  • le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS (circa 2.100 euro lordi al mese) hanno ottenuto una rivalutazione completa
  • le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo INPS (2.100-2.600 euro) hanno ottenuto una rivalutazione al 90% dell’importo totale
  • le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo INPS (2.600-3.100 euro) una rivalutazione al 75%
  • le pensioni oltre 6 volte il minimo INPS (oltre 3.100 euro) sono state invece rivalutate al 50%
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Rivalutazione 2025

Anche nel 2025 l’aumento sarà applicato seguendo il noto schema di perequazione progressiva. La rivalutazione sarà perciò piena per le pensioni più basse e avrà invece percentuali decrescenti per quelle più elevate. Nello specifico:

  • le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS (fino a circa 2.100 euro lordi) riceveranno la rivalutazione completa dell’1,6%. Quindi, per fare un esempio concreto, una pensione di 1.000 euro vedrà un aumento di circa 16 euro al mese
  • le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo INPS (tra 2.100 e 2.600 euro) vedranno un aumento pari al 90% dell’1,6%, cioè circa l’1,44% dell’assegno
  • le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo INPS (tra 2.600 e 3.100 euro) avranno inveve un aumento ridotto al 75% dell’1,6%, quindi pari all’1,2% dell’importo della pensione
  • le pensioni superiori a 6 volte il minimo INPS (oltre 3.100 euro): riceveranno solo il 50% dell’1,6%, cioè lo 0,8% della cifra attualmente pagata da INPS

Pensioni minime

Le pensioni minime rappresentano un caso particolare. Nel 2024 hanno già ottenuto una “super-rivalutazione” e l’esecutivo sta valutando ulteriori interventi nella prossima legge di bilancio per sostenere i percettori di trattamenti più bassi.

Per quanto riguarda il 2025, però, la rivalutazione non è ancora stata riconfermata. Secondo le attuali stime, il valore delle minime dovrebbe passare dagli attuali 614,77 a 625,83: potrebbe però esserci un altro intervento che le porterebbe a quota 650.

Foto: Shutterstock

Intanto, la riduzione dei coefficienti è vista come un ulteriore incremento al disagio economico della popolazione, soprattutto nelle regioni meridionali.

Al Sud, il numero delle pensioni erogate ha infatti superato quello degli stipendi per i lavoratori (lavoro nero escluso).

Nei prossimi anni – spiega la Chia – il sistema previdenziale potrebbe perciò essere molto appesantito, soprattutto considerando che da oggi al 2028 gli italiani in età pensionabile saranno quasi tre milioni. E di questi solo 2,1 sono al Centro o al Nord.

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