Li chiamano novel food e sono i “cibi alternativi” che presto potremmo trovare sugli scaffali dei supermercati. Farine di larve di insetti, meduse, plancton e krill ma anche i già noti semi di chia o il succo del noni oppure quei cibi nati da alcuni trattamenti come i funghi ed il latte trattati con raggi ultravioletti.
Altra opzione, quando si parla di novel food sono gli insetti che, sempre complice il cambiamento climatico, non solo prosperano autonomamente ma possono essere allevati più facilmente per vari motivi. Prima di tutto una più facile gestione della struttura di allevamento, inoltre un allevamento di insetti richiede meno spazio e meno risorse per essere sviluppato nel tempo. Non solo ma l’apporto proteico, notevole secondo gli esperti, potrebbe essere un elemento decisivo per sfamare una popolazione in crescente aumento.
I primi passi si son già visti in queste ultime ore
A Bruxelles, infatti, la commissione europea ha approvato una legge secondo cui nei prossimi cinque anni ci sarà la possibilità di immettere sul mercato i nuovi alimenti. Per la precisione, però, la legge cita, per il momento, solo la farina di larve intere di Tenebrio molitor, quelle gialle che a volte troviamo nella farina, trattata con raggi UV, e ad essere autorizzata alla vendita sarà “solo la società” francese NutriEarth.
Ma cosa sono i “novel food”? Volendo considerare l’approccio ad una definizione più ampia, sono definiti “novel food” quei cibi che non hanno registrato un consumo rilevante in una determinata zona prima del 1997 e che derivano da fonti alimentari che non rientrano nella tradizione del posto ma che, invece, possono far parte di quella di altre zone. Non solo ma nella definizione possono rientrare anche alimenti nati da filiere alternative e metodi di produzione innovativi. Guardando invece lo sviluppo storico della normativa, una prima versione risale al Regolamento (CE) 258/97 del Parlamento e del Consiglio Europeo in cui si definiva novel food “qualsiasi prodotto e ingrediente alimentare non ancora utilizzato in misura significativa per il consumo umano nella Comunità prima del 15 maggio 1997”.
Un secondo Regolamento (UE) 2015/2283 è entrato in vigore il ad inizio del 2018 ed introduceva una definizione più stringente di novel food inteso come “nuovo”. Infatti in questo caso dovevano essere presenti fattori come la quantità d’uso, il ruolo rivestito dal prodotto nell’alimentazione sia termini quantitativi che qualitativi e in quali zone l’aspirante novel food venisse consumato. Contemporaneamente venivano esclusi dalla definizione anche gli organismi geneticamente modificati (OGM), anche i derivati.
La normativa di riferimento
L’iter burocratico prevede che sia la stessa Commissione UE a farsi carico della richiesta di autorizzazione di un novel food mentre sarà poi l’Efsa (European Food Safety Authority), dopo averne testata la sicurezza, a inserire il novel food nell’Union List, l’elenco comunitario in cui sono pubblicate anche tutte le specifiche. Tra le caratteristiche del novel food devono essere delineati, oltre all’assenza di rischio per la salute umana, anche il vantaggio alimentare che deriva dal consumo caratteristiche che dovranno essere confermate dall’analisi di un comitato scientifico.
Qualora la sicurezza non possa essere assicurate, la Commissione, dopo l’immissione sul mercato, può predisporre degli obblighi di monitoraggio sul nuovo alimento. Come detto l’argomento era stato già affrontato nel 1997 ma adesso sembra che l’Unione voglia accelerare i tempi anche a causa di un cambiamento climatico che mette spesso a repentaglio coltivazioni e allevamenti. Il surriscaldamento globale, infatti, non solo aumenta statisticamente il verificarsi di fenomeni meteorologici estremi ma anche la nascita e il diffondersi di virus che proliferano negli spazi spesso angusti degli allevamenti intensivi.
Da qui la scelta di studiare il modo per consumare ciò che il cambiamento climatico rischia di far diventare molto comune sul pianeta. Un esempio che da anni possiamo testare nel Mediterraneo è la presenza delle meduse. In questo caso, inoltre, il vantaggio è duplice. Stando agli esperti alcune specie possono essere sfruttate come cibo, altre come fertilizzante.