Qualche tempo fa il presidente USA Donald Trump ha confermato che “dazi” è per lui tra le parole più belle del vocabolario, inevitabilmente, però, dovrà anche riconoscere che le conseguenze che questi dazi portano potrebbero essere leggermente meno entusiasmanti soprattutto alla luce della paura che serpeggia tra gli investitori proprio in questi giorni ovvero dopo la conferma da parte dello steso Trump, dell’entrata in vigore delle tariffe doganali a Messico e Canada da martedì.
Per rappresaglia, il Canada imporrà una tariffa del 25% su beni statunitensi per 155 miliardi di dollari canadesi (107 miliardi di dollari statunitensi). Non ultima la Cina che ha annunciato un’ulteriore rincaro dei dazi del 15% su prodotti agricoli in arrivo dagli States. Pechino, per le aziende a stelle e strisce, finora è stata una sede molto conveniente per la produzione di molti articoli grazie alla forza lavoro a basso costo e alla capacità produttiva.
Il “Trump bump” sui mercati è scomparso
Le prime conseguenze si sono visti proprio sui mercati non più tardi di lunedì quando asset rischiosi come azioni e criptovalute sono crollati in seguito alle dichiarazioni di un +25% su tutti i prezzi delle merci importate da entrambi i paesi.
Dall’altra parte dell’Atlantico, tuttavia, i leader europei che giocano sulla difensiva contro le aperture di Trump sembrano aver relativamente rallentato il crollo che, sebbene avvertito, potrebbe però prendere vigore nei prossimi giorni. Questo perché il presidente Trump ha evidenziato che l’Unione Europea potrebbe essere la prossima ad affrontare tariffe estese del 25%, il tutto sullo sfondo di una crescente diffidenza reciproca. Una prima certezza, però, resta: la volatilità dei mercati. A soffrire è anche il dollaro che proprio in queste ore ha toccato i minimi degli ultimi tre mesi parallelamente ad un rafforzamento dell’euro.
Oltre a mantenere invariato l’obiettivo di crescita economica al 5% per quest’anno, Pechino ha impegnato ampie risorse fiscali per attenuare l’impatto dell’aumento dei dazi doganali statunitensi varando una serie di misure a sostegno dell’economia, della domanda interna e del welfare. Sempre dalla Cina la conferma da parte del premier cinese Li Qiang di un tetto al deficit di bilancio al 4% del Pil, il più alto degli ultimi 30 anni a conferma di una strategia che sulla politica fiscale è stata definita “altamente proattiva”. E ancora: il petrolio greggio ha toccato i minimi degli ultimi sei mesi, mentre il bitcoin si è attestato intorno agli 87.800 dollari dopo una settimana volatile.
Lo stato dell’economia
Ma abbandonando il settore finanziario in molti si chiedono quali saranno le conseguenze, dirette ed indirette dei dazi sull’economia a stelle e strisce. Soprattutto dopo che Trump, nel suo discorso sulla nazione pronunciato al Congresso ha affermato che le sue tariffe causeranno ” un piccolo disturbo” all’economia e ai consumatori. Quanto “piccolo”?
A rispondere sono alcuni leader aziendali secondo cui ”L’effetto a breve termine di qualsiasi dazio è chiaramente l’inflazione” come dichiarato da Charles van der Steene, presidente del Nord America per il gigante delle spedizioni Maersk, mentre il CEO di Target Brian Cornell ha rincarato la dose confermando che “il consumatore vedrà probabilmente aumenti di prezzo nei prossimi due giorni ”. Anche il CEO di uno dei maggiori produttori di alluminio degli Stati Uniti, Alcoa, ha avvertito che i dazi del 25% minacciati da Trump su tutte le importazioni di alluminio potrebbero costare agli Stati Uniti 100.000 posti di lavoro. Un problema ben più complesso dal momento che si riaccende la spia della “stagflazione” nell’economia statunitense, ovvero una fase economica in cui i prezzi aumentano ma la crescita rallenta.
La domanda interna e la reazione dei consumatori
L’economia statunitense, da tutti gli economisti presa come esempio di resilienza di fronte ad eventi catastrofici come la pandemia e il ritorno di una preoccupante inflazione, si trova ad affrontare la sfida di una guerra commerciale autodichiarata dal suo stesso presidente. Di fronte ad un ritracciamento dei listini e ad un aumento dei prezzi, parallelamente ad un mercato del lavoro che tende a rallentare è probabile che la domanda interna registri un calo poderoso. Da qui una serie di incertezze soprattutto sulla produzione delle aziende che potrebbero frenare su investimenti e assunzioni. A peggiorare il sentiment è anche la sola minaccia, finora reiterata, dei dazi, una minaccia che ha pur sempre un costo in termini di incertezza e confusione che rendono poi difficile la pianificazione per investitori, CEO e consumatori.
La mossa rischia di allargarsi anche alle banche le quali, in un clima di crescente incertezza potrebbero decidere di restringere il credito alle piccole imprese le quali, in proporzione, potrebbero non reggere l’aumento dei prezzi sui prodotti importati così come è ancora alta la dipendenza di Canada e Messico dalle esportazioni verso il mercato statunitense. Il risultato è che le reciproche ritorsioni potrebbero appesantire una situazione già di per sé difficile.
I dati macro
Ma al di là delle supposizioni restano i fatti. I dati macro indicano che i licenziamenti sono in aumento, la spesa dei consumatori è inaspettatamente calata a gennaio, la fiducia dei consumatori è crollata mentre l’inflazione rimane ostinatamente al di sopra dell’obiettivo della Federal Reserve. Un elemento, quest’ultimo, che a sua volta potrebbe impedire alla Fed di abbassare i tassi di interesse, altro elemento che crea pressione sia sui consumatori che sulle aziende oltre a rappresentare un fattore zavorrante per il settore immobiliare.
Il modello GDPNow della Federal Reserve di Atlanta prevede ora un calo del PIL del 2,8% per il primo trimestre un dato che, sebbene non determinante, segna un rapido cambio di rotta rispetto a una precedente previsione di crescita del 2,3%. Da segnalare, inoltre, sia il calo di 11 punti nell’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board tra dicembre e febbraio, (tra i più ampi da inizio 2009, ovvero durante il culmine della Grande recessione) sia il calo di 9 punti registrato dall’indice di fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan nello stesso periodo, un calo da massimo storico.
Naturalmente, è ancora troppo presto per sapere se il peggioramento delle prospettive economiche sia solo un’anomalia o qualcosa di più preoccupante. A rassicurare è la stessa economia USA che, come detto, si è dimostrata più volte resiliente anche di fronte a timori di recessione profondi gli ultimi dei quali risalenti al 2022, dopo che la Fed ha aumentato i tassi di interesse per combattere l’inflazione, e all’estate del 2024, quando il tasso di disoccupazione ha iniziato a salire.