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Economia

Tutela del Made in Italy, Pelanda: “ridurre i costi aziendali ed accedere a capitali d’investimento più efficienti”

Maria Lucia Panucci
10 Marzo 2025
Tutela del Made in Italy, Pelanda: “ridurre i costi aziendali ed accedere a capitali d’investimento più efficienti”
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“Ci sono circa 80-90 miliardi all’anno che invece di finire in investimenti modernizzanti vanno a ripagare i titoli di debito. E’ molto difficile sanarli in breve tempo”

Il Made in Italy è un brand trasversale che accomuna tutte le nostre imprese: è il biglietto da visita dell’Italia all’estero. Racchiude una cultura imprenditoriale che simboleggia l’eccellenza nei campi più svariati, dall’arredamento al design, dalla moda all’agroalimentare.

Se si guarda al marchio, l’Italia è nona al mondo con un valore di 2,326 miliardi di dollari, pari a 2,18 miliardi di euro. Lo attesta il National Brand 193 2024 Ranking ed è una posizione di grande rilievo considerando che ci sono oltre 193 nazioni nel mondo nella classifica. Il Made in Italy si distingue per l’eccellenza e la qualità riconosciuta a livello globale, ma necessita di innovazione per consolidare la sua posizione sui mercati internazionali. La digitalizzazione, l’internazionalizzazione e la valorizzazione del brand sono dunque strategie cruciali per le aziende italiane, in particolare per le PMI. L’investimento in capitale umano, la formazione specializzata e la collaborazione tra pubblico e privato sono essenziali per affrontare le sfide della globalizzazione.

Del ruolo dell’artigiano oggi abbiamo parlato con Carlo Pelanda, economista, docente di geopolitica economica all’Università Guglielmo Marconi e consulente strategico di molteplici realtà internazionali.

Pelanda, qual è il ruolo dell’artigiano nello sviluppo economico e sociale del nostro Paese?

«Rappresenta un cuscinetto che attutisce le crisi nei momenti difficili dell’economia ed è anche un elemento di varietà che sostiene il Pil italiano. Il ruolo dell’artigiano è quello di operare in piccole e medie imprese, un tessuto di garanzie per il sistema complessivo. Gli artigiani, nella storia del nostro Paese, hanno saputo essere e sono tutt’ora la vera spina dorsale del sistema economico. Hanno conservato e portato avanti una tradizione che è proseguita ed è diventata caratterizzante, quella del made in Italy che ci rende famosi in tutto il mondo. Questo li rende un elemento prezioso».

Carlo Pelanda foto imagoeconomica

L’AI rappresenta una minaccia per questa figura?

«No, assolutamente il contrario. L’intelligenza artificiale può essere uno strumento di grande aiuto per le imprese artigiane. Rappresenta un aiuto importante se la sappiamo sfruttare adeguatamente e a nostro vantaggio, per crescere ed evolverci».

Far conoscere all’estero il nostro “bello e ben fatto”. Come secondo lei?

«Le nuove reti globali di comunicazione permettono una maggiore pubblicità. Ci dovrebbe essere più attenzione sul potenziamento del marchio Italia, del marchio territoriale, anche per attrarre più turismo in quelle zone che magari sono meno conosciute ma assolutamente meritevoli. Questo significa più infrastrutture, marketing ed il settore che ne beneficerebbe di più sarebbe quello artigianale, delle piccole produzioni locali con marchi storici».

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Perché l’Italia è attrattiva per gli investitori stranieri?

«E’ attrattiva perché c’è molta qualità ed è a sconto. Ha una competitività negativa nel senso che i prodotti italiani sono ridotti nel loro valore e rispetto al loro reale potenziale del 30-40%. Quindi se uno ci mette del capitale e lo aggancia a sistemi internazionali guadagna subito parecchio».

Nonostante il successo, il nostro Made in Italy necessita di continua innovazione per consolidare la sua posizione sui mercati internazionali. Com’è possibile questo? Come rafforzare la competitività delle piccole imprese?

«La maggior parte delle nostre aziende dimostra grandissima competitività entro i muri aziendali. Il problema sono i costi. In Italia per esempio l’energia costa il 30% in più degli altri Paesi europei. Poi ci sono tutte le spese fiscali, molto alte, che erodono la capacità degli investimenti. Molte realtà nel nostro Paese hanno grande potenziale, ma manca loro il capitale. Quello che viene dal credito è insufficiente. Bisognerebbe trovare un giusto compromesso tra la riduzione dei costi per le aziende e la possibilità per loro di accedere ad un capitale d’investimento più efficiente. Negli Stati Uniti i soldi alle imprese arrivano per l’80% da fondi d’investimento e solo per il 20% dal credito bancario, mentre nell’ambito europeo è l’esatto contrario. Questo è un problema, nonostante molte imprese dimostrino grande innovazione e capacità. Tutta l’Eurozona ha un problema serio: non finanza a sufficienza la crescita delle buone imprese. Spesso, a fronte di un mercato interno che deve fare i conti con grandissimi player industriali (anche perché l’artigianato italiano è un unicum), la piccola dimensione delle aziende può oggettivamente costituire un gap. Ma ciò che si sbaglia è l’approccio. Non è colpendo le piccole imprese che si risolve la competitività del Paese. La sfida, al contrario, deve essere quella di incoraggiare la piccola impresa evitando che gli artigiani vengano inglobati nei grandi colossi industriali. La chiave di volta sarebbe quella di individuare una forma di società di capitale tarata sulle imprese di piccole dimensioni».

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Dal 2014 sono andate perse 153 mila imprese di under 35, 42 al giorno, secondo gli ultimi dati di Unioncamere. Che consiglio si sente di dare ai giovani per fare una “buona” impresa che valorizzi il made in Italy?

«Ribadisco quello che dico ai miei studenti: resistere in Italia perché, tra tutti quelli del G7, è quello che ha più potenzialità per il futuro. Basta che il Governo e chi ci amministra capisca come rendere al meglio competitiva l’Italia e come riuscire ad abbattere una parte del debito pubblico che toglie risorse fiscali per gli investimenti innovativi. La verità è che molti giovani scappano alla prima occasione all’estero dove hanno più possibilità di carriera e remunerative. Bisogna valorizzare i nostri talenti e fare di tutto per tenerli a casa, dove possono crescere e rafforzare la nostra economia».

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Il Governo secondo lei sta facendo abbastanza per tutelare le nostre PMI?

«Il Governo sta facendo tantissimo in termini di export che richiede un ombrello geo-politico di rilievo. Tutte le bilaterali, i trattati di cooperazione che l’Italia sta saldano anche con Paesi extra europei hanno lo scopo mirato di favorire le nostre imprese. Per altri aspetti bisogna ricordare che il nostro Paese non è uscito dal declino economico degli scorsi anni. Ci sono circa 80-90 miliardi all’anno che invece di finire in investimenti modernizzanti vanno a ripagare i titoli di debito. E’ molto difficile sanarli in breve tempo».

L’artigiano, come detto, è portatore di competenze specifiche, innovative e peculiari. Ed è per questo che, anche dal punto di vista normativo e burocratico andrebbe sostenuto. La tutela della piccola impresa dovrebbe essere al centro di ogni agenda politica. Chi tende a privilegiare solo i grandi raggruppamenti industriali, specie in una realtà economica come quella italiana, denuncia una grande miopia.

FOTO: IMAGOECONOMICA
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