Mentre le borse europee ripartono caute sullo sfondo di un progressivo schiarimento delle problematiche relative ai dazi, i prezzi dell’oro registrano un forte rialzo per l’aumento delle richieste di un metallo che da sempre è visto come un porto sicuro per le incertezze. La dimostrazione arriva anche da quel +28% registrato da inizio anno.
Parallelamente si è assistito ad un crollo delle quotazioni dei titoli del Tesoro USA e del dollaro, quest’ultimo a -10% da gennaio anche a causa delle tensioni interne tra il presidente Donald Trump ed il governatore della Fed.
Le previsioni di JP Morgan parlano di quotazioni per l’oro che potrebbero toccare i 3.675 dollari l’oncia entro il quarto trimestre del 2025 e addirittura i 4.000 entro il secondo trimestre del 2026 mentre non più tardi di 24 ore fa si sono toccati i 3500 dollari, nuovo record storico. Al contrario, come detto, i titoli del Tesoro USA sono stati oggetto di un vero e proprio sell off con il titolo con scadenza a 30 anni che all’inizio del mese ha raggiunto il massimo da novembre 2023.
Anche il rendimento del decennale è aumentato di 30 punti base evidenziando un cambio di rotta nelle normali dinamiche che regolano i sue asset. Infatti alla base esiste una ormai tradizionale relazione inversa tra rendimenti dei titoli del Tesoro e l’oro con i rendimenti dei primi che, quando si alzano, rendono l’oro meno appetibile dal momento che il metallo giallo non paga interessi. Alla base di questo movimento potrebbero esserci diversi fattori, non ultimo il calo di fiducia negli USA come porto sicuro a livello internazionale.
Questo perché i mercati stanno valutando le politiche dei dazi volute dal presidente americano Trump come una sorta di passo falso, teoria confermata paradossalmente, proprio dalle ultime decisioni dello stesso Trump di diminuire le tariffe alla Cina e di venire a più miti consigli. Intanto la Cina ha dichiarato che non sono previsti tavoli di trattativa con Washington “Al momento non ci sono assolutamente negoziati in corso sull’economia e sul commercio tra Cina e Stati Uniti”, ha dichiarato ai giornalisti il portavoce del Ministero del Commercio He Yadong aggiungendo che “Se gli Stati Uniti vogliono davvero risolvere il problema dovrebbero annullare tutte le misure unilaterali nei confronti della Cina”. Dichiarazioni che vanno contro corrente rispetto a quanto affermato nei giorni scorsi da Trump e dal segretario al Tesoro Scott Bessent circa un allentamento delle tensioni con la Cina ed un possibile calo dei dazi che, come sottolineato da entrambi, non arriverà comunque a zero ma che presuppone una buona volontà e prospettiva per possibili incontri e intese.
In tutto questo sia i funzionari europei che i vertici delle aziende americane stanno calcolando il costo della guerra commerciale di Donald Trump. In particolare per i rappresentanti del settore produttivo a stelle e strisce, sotto i riflettori restano le spese crescenti, le catene di approvvigionamento ingolfate e in preda al caos e all’incertezza. Tra questi anche i dirigenti di Walmart e Target che hanno evidenziato a Trump i pericoli derivanti dall’impatto che i suoi dazi avrebbero avuto sul commercio.
I dazi avranno ricadute dirette sul costo dei generatori di energia a gas, proprio mentre la domanda di elettricità negli Stati Uniti cresce a un ritmo “come non abbiamo mai visto dalla fine della Seconda guerra mondiale” come sottolineato da John Ketchum, amministratore delegato di NextEra Energy, proprietaria della più grande azienda elettrica degli Stati Uniti. A questi si sono unite anche le proteste di AT&T e Verizon, due dei più grandi gruppi di telecomunicazioni degli Stati Uniti secondo cui le tariffe potrebbero far aumentare il prezzo degli apparecchi telefonici e dei router wireless.
Nei giorni scorsi il Fondo Monetario Internazionale aveva lanciato a sua volta l’allarme: i dazi commerciali annunciati dal presidente Trump rappresenteranno un serio ostacolo per l’economia statunitense e mondiale nel 2025. Nel suo World Economic Outlook di aprile 2025, il FMI ha infatti previsto una crescita degli Stati Uniti dell′1,8% nel 2025, in calo di 0,9 punti percentuali rispetto alle previsioni di gennaio riducendo dello 0,5% rispetto alle precedenti stime, anche le previsioni per la crescita globale al 2,8% quest’anno. Non andranno meglio le cose nemmeno per la zona euro con un PIL che non arriverà oltre lo 0,8% nel 2025 e solo nel 2026 potrebbe riprendersi arrivando all’1,2%.