Nella notte tra sabato e domenica gli USA hanno deciso di affiancare Israele nella guerra contro l’Iran dando vita all’operazione “Midnight Hammer”. Intanto continuano gli attacchi iraniani verso Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa.
L’apertura dei mercati europei si contraddistingue per un generale segno meno con Piazza Affari in netto calo a causa della sua forte componente di titoli del settore energetico. I timori riguardano le possibili ritorsioni dell’Iran sia sul fronte della sicurezza (non sono da escludere attentati da parte di cellule isolate sparse per il mondo) sia su quello dell’energia con un blocco delle forniture di petrolio.
La conferma di timori su quest’ultimo punto arriva proprio dall’Asia dove le borse hanno adottato una strategia incentrata sulla cautela sfociata, poi, in un progressivo calo dei listini. In particolare dopo la notizia secondo cui gli USA avrebbero chiesto alla Cina di intervenire come mediatrice per convincere Teheran a non chiudere lo stretto di Hormuz, snodo essenziale per il traffico petrolifero internazionale.
Unica certezza è il rialzo del petrolio che, proprio sull’onda della minaccia della chiusura dello stretto di Hormuz ha iniziato una lunga risalita. Il Wti in queste ore sale dell’1,15% a 74,69 dollari al barile e il Brent guadagna l’1,12% a 77,88 dollari. Dal 13 giugno, giorno di inizio del conflitto tra Israele ed Iran, il Brent ha registrato un +13% mentre il Wti è arrivato al +10%.
Dalla Casa Bianca, immediatamente dopo i primi attacchi contro i siti iraniani, si è subito specificato che non si tratta di un’operazione contro Teheran ma “contro il programma nucleare iraniano”. Nel frattempo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che gli attacchi sono stati uno ” spettacolare successo militare ” che ha “completamente distrutto” i principali impianti di arricchimento del paese.
Una decisione che, sebbene prospettata, non era stata data per certa. Ad ogni modo, dopo una settimana di nervosismo sui mercati, la reazione di investitori e diplomazia sarà al centro dell’attenzione nei prossimi giorni. Gli attacchi degli Stati Uniti contro l’Iran segnano una drammatica escalation delle tensioni geopolitiche. Infatti mentre la Russia, grande alleato di Teheran, tuona ma non interviene concretamente contro Washington, Pechino, ottimo acquirente del petrolio russo e iraniano, cerca contemporaneamente una via di dialogo con gli USA per risolvere la questione dazi. Contemporaneamente Marco Rubio, segretario di Stato statunitense, definisce gli States “Disponibili al dialogo” e mette in guardia l’Iran dal reagire agli attacchi contro i siti nucleari.
Ancora un punto interrogativo sulla possibile successione dell’ayatollah Ali Khamenei. Scomparso dalla scena internazionale, secondo alcune fonti di stampa (in primis il New York Times) si troverebbe “in un bunker, isolato da ogni tipo di mezzo di comunicazione tracciabile, passa le direttive a un consigliere fidato”. Inoltre la massima carica religiosa della repubblica islamica avrebbe nominato tre potenziali successori, notizia successivamente smentita.
Le cronache finanziarie, mentre i bombardieri statunitensi cercano di mettere fuori uso i tre siti nucleari a Fordow, Natanz e Esfahan, si concentrano sulle prossime mosse del petrolio. JPMorgan ricorda che storicamente i cambiamenti di regime nei principali paesi produttori di petrolio, come l’Iran, hanno avuto un impatto significativo sui prezzi globali del petrolio. Numeri alla mano dal 1979, anno della rivoluzione iraniana, tra i principali paesi produttori di petrolio si sono registrati otto cambi di regime.
Contemporaneamente il prezzo del petrolio è aumentato in media del 76% nel momento di maggior rialzo per poi stabilizzarsi al + 30% rispetto ai livelli precedenti gli shock politici. JPMorgan, sottolinea ancora che la rivoluzione iraniana in cui fu deposto lo Scià e che poi portò al potere la Repubblica Islamica portò ad un netto aumento del petrolio e a una recessione economica mondiale.
Secondo gli analisti, inoltre, se la leadership iraniana avesse sentore di un imminente pericolo per la propria sopravvivenza, potrebbe decidere di attaccare le infrastrutture energetiche, su tutti lo stretto di Hormuz attraverso cui passa circa il 40% del petrolio mondiale, decisione che potrebbe compromettere l’intero traffico petrolifero mondiale. Il rischio di un’interruzione dell’approvvigionamento e del conseguente aumento dei prezzi potrebbe aumentare di pari passo con la lunghezza del conflitto stesso.
Un conflitto le cui conseguenze potrebbero ricadere proprio sullo stesso Trump. Al Congresso i rappresentanti democratici, immediatamente dopo l’attacco USA, hanno chiesto l’impeachment per il presidente Trump. A conferma di questo arrivano le parole della deputata Alexandria Ocasio-Cortez postate su X “La disastrosa decisione del presidente di bombardare l’Iran senza autorizzazione costituisce una grave violazione della Costituzione e dei poteri di guerra del Congresso. Ha rischiato impulsivamente di scatenare una guerra che potrebbe intrappolarci per generazioni” e questo è un possibile motivo per l’impeachment.