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Economia

Pechino di fronte a sfide sempre più numerose. La Cina è un gigante dai piedi d’argilla?

Rossana Prezioso
6 Aprile 2024
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Dalla crisi immobiliare a quella geopolitica, senza dimenticare i cambiamenti demografici. La grande potenza asiatica si trova a dover fare i conti con problemi sempre più numerosi

La grande potenza cinese sta accusando il colpo di una crescita smisurata registrata in passato? Oppure il cambiamento socio-economico in atto sta indebolendo un sistema che deve fare i conti con i tipici problemi delle società industrializzate occidentali? A dare una risposta ai tanti interrogativi è Gabriel Debach, market analyst di eToro.

La deflazione in Cina ha visto un’accelerazione alla fine del 2023, evidenziando le difficoltà della seconda economia mondiale nel rilanciare la domanda interna. Stimolare i consumi potrebbe essere la soluzione per un’economia che da fabbrica del mondo si sta trasformando, a sua volta, in un’economia di consumo?

«La deflazione ha accompagnato la Cina da ottobre dello scorso anno fino a gennaio, quando ha riportato il calo più forte in oltre 14 anni; tuttavia, nell’ultima lettura di febbraio, il livello di inflazione annuo è tornato in territorio positivo. Certamente lo stimolo dei consumi rappresenta una variabile utile, soprattutto per un’economia che da emergente punta al passo successivo, nonostante il peso dei consumi per la Cina valga poco meno del 40% del Pil, rispetto al 69% degli Stati Uniti. La deflazione dovrebbe spaventare investitori e produttori (e meno i consumatori), anche se i dati non sembrano evidenziare tale preoccupazione, con i profitti industriali cresciuti a febbraio del 10,2%, rispetto ad attese di un -2,3%».

Il crollo di Evergrande e la crisi di Country Garden hanno fatto tremare i mercati mondiali. Attualmente sembrerebbe essere un pericolo ancora circoscritto, ma lo è veramente? E da dove nasce la crisi dell’immobiliare cinese?

«Il crollo di giganti immobiliari come Evergrande e Country Garden ha fatto clamore nei mercati globali, suscitando interrogativi sul potenziale impatto sistemico. Tuttavia, la vera portata di questa crisi rimane avvolta nell’opacità dei conti cinesi. Ciò che è chiaro è che il lungo declino del settore immobiliare cinese sta mettendo ora a dura prova i bilanci delle principali banche statali del paese, mentre i prestiti in sofferenza aumentano. La crisi immobiliare in Cina ha radici profonde che risalgono a oltre un decennio fa, quando il paese ha aperto le porte al mercato immobiliare nazionale dopo anni di restrizioni. Questo ha coinciso con un’esplosione demografica nelle aree urbane, con centinaia di milioni di persone che si sono trasferite dalle campagne alle città, alimentando una domanda senza precedenti per nuove abitazioni. Inoltre, l’ascesa di una classe media in crescita ha canalizzato enormi capitali nel settore immobiliare, considerato un rifugio sicuro per gli investimenti. Questa corsa all’edilizia è stata amplificata da speculazioni sfrenate e da pratiche di finanziamento opache. Gli sviluppatori immobiliari hanno continuato a cercare finanziamenti sempre più esosi, spingendo i prezzi delle abitazioni alle stelle e rendendo il settore meno accessibile per le famiglie a reddito medio. Le autorità locali, dipendenti in larga misura dalle entrate derivanti dalle vendite di terreni, hanno spinto ulteriormente il mercato immobiliare, contribuendo a questa bolla speculativa».

Molti economisti criticano il governo di Pechino perché non sembra aver preso finora alcuna misura risolutiva contro la crisi immobiliare. Quali potrebbero essere le armi a disposizione dei vertici politici?

«Ormai le attese sono che lo Stato debba farsi carico di tutto, con gli investitori azionari che guardano solamente al taglio dei tassi d’interesse come panacea per tutti i mali, ovviamente per loro comodità di breve periodo. Di sicuro ancora il settore immobiliare mostra crisi profonde. Le vendite lorde contrattate per i primi 100 sviluppatori nei primi due mesi del 2024 sono state solo il 40% della media dei sette anni precedenti e un quarto del picco di 1,85 trilioni di yuan nel 2021. Le leve di intervento a disposizione dei vertici politici sono complesse e possono comportare rischi considerevoli. Una delle possibili strategie è un intervento diretto dello Stato nel mercato immobiliare, attraverso politiche di sostegno agli acquirenti, riduzione delle tasse sull’acquisto di case o stimoli finanziari per gli sviluppatori. Tuttavia, queste misure potrebbero avere un impatto limitato se non affrontano le radici strutturali della crisi, come l’eccesso di debito e la speculazione immobiliare. Alcuni esperti come Ray Dalio suggeriscono una riduzione dell’indebitamento e un allentamento della politica monetaria per stimolare la crescita economica e ridurre i rischi finanziari. Altri invece propongono l’opposto, ossia un aumento del debito per sostenere gli investimenti e rilanciare l’economia. Tuttavia, c’è incertezza su quale approccio possa garantire i migliori risultati, considerando le peculiarità della situazione cinese e i rischi di un’ulteriore espansione del debito. Di fatto, deterioramento demografico, l’eccesso di debito e lo scoppio di una bolla patrimoniale sono tutti elementi che preoccupano gli investitori più esperti e che rimandano agli ingredienti dietro il malessere giapponese di fine anni 90. Tutto questo accompagnato da tensioni USA / Cina e da investimenti diretti nel paese in calo».

La Cina ha registrato tassi di crescita a due cifre nell’ultimo trentennio ma in apertura del Parlamento il target per il 2024, è stato fissato “intorno al 5%”, obiettivo che per giunta lo stesso esecutivo ha definito “non facile” da raggiungere. Cosa è successo per arrivare a questa situazione?

«Diverse sono le ragioni che hanno portato a questa situazione. In primo luogo, la lenta spesa dei consumatori ha influito negativamente sull’attività economica, riducendo la domanda interna e limitando la crescita. Inoltre, l’instabilità del mercato immobiliare ha generato incertezza e ha influito sulle decisioni di investimento e spesa delle famiglie. Il crollo azionario multimiliardario ha eroso la fiducia degli investitori e ha avuto un impatto negativo sulla ricchezza delle famiglie e sul finanziamento delle imprese. La pressione degli Stati Uniti per frenare le ambizioni tecnologiche della Cina ha anche contribuito a rallentare la crescita economica, limitando l’accesso a tecnologie cruciali e creando ostacoli al progresso in settori chiave dell’innovazione. La disoccupazione giovanile record e l’aumento del debito pubblico locale hanno aggiunto ulteriori sfide alla situazione economica complessiva. Tuttavia, è importante considerare anche il contesto internazionale. Nonostante le sfide interne, le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale indicano comunque un tasso di crescita del 4,6% per l’anno in corso, che rimane superiore a quello di molte altre economie avanzate (due volte quello statunitense e oltre cinque volte quello europeo)».

Gli investimenti diretti di imprese straniere in Cina nel 2023 sono cresciuti solo di 33 miliardi di dollari, al livello più basso dal 1993. Per questo motivo Pechino sta tentando di favorire gli investimenti esteri promettendo un trattamento più equo. Cosa sta cambiando per le aziende che vogliono investire nella nazione asiatica?

«Le tensioni tra Cina e Stati Uniti stanno spingendo gli investitori stranieri a diversificare o a lasciare la Cina per paura di essere discriminati. Questo sta causando alla Cina difficoltà nell’ottenere investimenti e senza una riconciliazione dei contrasti economici e culturali, il gap rischia di ampliarsi. Sempre più società hanno optato per una delocalizzazione su paesi asiatici alternativi, si veda India, Corea, Vietnam per citarne alcuni. Le aziende americane e altre multinazionali rappresentavano più della metà delle esportazioni dalla Cina. Adesso sono meno di un terzo. In aggiunta, poche società cinesi hanno optato per lo sbarco in borsa sui listini americani negli ultimi due anni, con la proprietà statunitense delle azioni cinesi è in decisa diminuzione»

(fonte Goldman Sachs)

Pechino blocca i chip Intel e Amd nei computer governativi: un nuovo scontro tra Cina e USA all’orizzonte? Come interpretare questa decisione anche alla luce delle grandi sfide che pone lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale?

«La decisione di Pechino di bloccare l’utilizzo dei chip Intel e AMD è un segnale chiaro di una crescente guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che si sta intensificando sotto gli occhi del mondo. Il controllo strategico su queste tecnologie è diventato cruciale nella corsa per la leadership economica mondiale, poiché la capacità di sviluppare e implementare soluzioni avanzate di Intelligenza Artificiale è ora un fattore determinante. Parallelamente, tale situazione richiama alla memoria le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Giappone degli anni ’80 e ’90, in cui Washington reagì implementando dazi e sanzioni contro il Giappone, soprattutto nel settore automobilistico e tecnologico».

Queste dispute, sottolinea in ultima analisi Debach, evidenziano come le relazioni commerciali internazionali siano spesso caratterizzate da sfide e conflitti legati alla competitività economica e al dominio tecnologico.

FOTO: shutterstock
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