
A dispetto di ogni pronostico, il mercato equo fa addirittura meglio delle alternative liberiste; e resiste alla crisi
Cambiare il destino dell’economia per sfuggire la crisi? La soluzione potrebbe essere cambiare proprio economia. Secondo l’ultimo report della Fairtrade International Organization, che certifica e promuove le marche del commercio equo e solidale nel mondo, sarebbe proprio un cambio di modello il segreto per uscire dalla crisi. Dal documento infatti si evince che l’accesso a prezzi migliori, al credito (tra cui il micro credito di cui si sta parlando a Torino in questi giorni), e alla stabilità finanziaria hanno “significativamente aumentato la resilienza delle organizzazioni certificate fair trade durante la pandemia di Covid-19”, scrive Neill Barston, co autore dell’indagine.
Non mancano però le sfide: come riconosce il movimento globale, le comunità agricole rimangono sotto forte pressione a causa della instabilità economica generale, soprattutto le filiere del cacao equo in Africa. Ma se da una parte i rischi dell’approvvigionamento del cacao e i costi dei composti chimici essenziali sembrano aumentare (complice anche il cambiamento climatico che aumenta l’incidenza di funghi e malattie fitopatologie), la filiera del cacao equo sembra resistere.
Cacao ma non solo. In quest’ultimo studio del Scio Network and Athena Infonomics, dal titolo “Fairtrade, certificazione e resilienza dei produttori”, sono stati messi a confronto i produttori equosolidale e non di caffé, banane e fiori (ad esempio l’ibisco da cui si ricava il karkadé) in Indonesi, Perù e Kenya. Il risultato? Le cooperative e i produttori che provenivano da organizzazioni certificate fair trade avevano il 12% in meno di possibilità di registrare “un alto o molto alto impatto” dovuto alla pandemia, comparate alle industrie che invece appartengono al modello liberista consumistico.
«La nostra ricerca– sostiene Manuela Günther, a capo della Valutazione e monitoraggio dell’Impatto della Scio Network– mostra che il mercato equo e la sua certificazione aumentano il benessere socioeconomico delle aziende produttrici di oltre il 20% rispetto alle aziende non certificate». La co responsabile del progetto aggiunge inoltre: «Le imprese legate al circuito fairtrade hanno inoltre una più alta resilienza economica, che ha consentito loro di reggere meglio l’impatto del Covid-19 e ha contribuito a una maggiore resistenza rispetto a crisi future allo stesso tempo». Non solo negli studi interni di settore: l’equosolidale va alla grande anche nei report internazionali. Dagli studi della Fao – che includono quattro criteri: benessere sociale, resilienza economica, buona governance e rispetto dell’ambiente-le aziende eque certificate hanno un voto di 9 punti percentuali più alto rispetto ai loro competitor non equi (64 contro 55). Per quanto riguarda l’indicatore di impatto sociale– che include elementi quali la sicurezza alimentare e la possibilità dei più piccoli di andare a scuola- le aziende certificate fairtrade contribuiscono con una percentuale più alta del 18% rispetto alla controparte. Questo perché, a differenza del sistema ultraliberista delle multinazionali, la filiera fairtrade tende a distribuire le risorse in modo armonico. Se cioè in un sistema multinazionale è la sede centrale (spesso in un paese occidentale) a trattenere buona parte degli introiti, nel sistema equo un’ottima percentuale del ricavato resta nei luoghi di produzione; contribuendo così non solo alla sicurezza dei lavoratori diretti della filiera, ma anche delle loro famiglie e delle loro comunità.
«Anche se una buona governance e l’impatto ambientale sono di per sé molto importanti, abbiamo anche riscontrato che durante la pandemia aspetti come il benessere sociale, la diversificazione alimentare e la sicurezza alimentare, ma anche la resilienza economica, sono stati i promotori di un impatto minore del Covid-19» appunta Bilal Afroz, Senior Consultant della Athena Infonomics and co-autore del report. Qualche numero per farvi un’idea? La filiera dell’ibisco equo ha segnato il più alto punteggio di resistenza rispetto alla media non fairtrade, il 70%; seguita dalla catena del caffé solidale dell’Indonesia (67%) e da quella delle banane buone per tutti peruviane (53%). Le filiere del caffé equo mondiali, rispetto alle sorellastre non solidale, registrano un punteggio del 13% più alto riguardo la capacità di resilienza.